mercoledì 5 marzo 2014

Di cosa ha bisogno uno scrittore?

Ieri con la gang (che ormai si è ridotta a quattro moschettieri permanenti: Livvy, Anna, Cole e io) si è partecipato a un salone letterario.

Ora, io è da quando sono qui che sono perennemente in lutto e penso "ma perché queste cose in Italia non le fanno".

E non ditemi, "non è vero, le fanno eccome".

Parliamone.

Non mi riferisco ai club milanesi a lume di candela dove sedicenti scrittori con la pelle incartapecorita riuniscono una decina di altre cariatidi per discorsi aulici su quanto la poesia sia fondamentale nella società moderna.

Né a quei circoli di sole donne che a cinquant'anni si sono rese conto che non sopportano più il loro matrimonio e allora si scoprono incredibili scrittrici (donne: 50 sfumature di grigio è nato così).

Mi riferisco a eventi ai quali si presentano fino a un centinaio di persone, e al centro dell'evento non è detto che ci sia sempre l'Autore e l'Opera.

Ieri, infatti, il salone letterario organizzato dal Writers' Centre (sì, esiste un Writers' Centre, e fa soldi a palate), aveva come vertice una domanda: "Di cosa ha bisogno uno scrittore?".

Il dibattito è stato aperto dall'intervento di due scrittori, Sue Healey e Ben Johncock, che hanno letto la loro lista di cose di cui uno scrittore ha bisogno.

Sono emerse cose interessanti, coddittorie, buffe.

Al primo posto: tempo e soldi.

Ovviamente una cosa esclude l'altra. A meno che non ti sposi uno che accondiscende a lavorare per comprarti il tempo, dandoti una bella casa, i tuoi spazi, ed evitando di occupare il tuo tempo con le spiacevolezze delle relazioni amorose (in pratica, quindi, se hai sposato una donna, ed è Ellen DeGeneres).

Si ha bisogno di tempo, ma si ha bisogno assolutamente di soldi.

Soldi, perché?

Una casa, uno studio, una baracca, una villa: qualsiasi cosa, purché si abbia il proprio spazio. Non c'è assolutamente niente di male nel vivere a casa della propria famiglia (mi spiace molto sentire come qua in UK si abusi della parola dipendere), ma parliamoci chiaro: è già abbastanza difficile dover spiegare a noi stessi che a venti-trenta-quarantanni suonati si ha deciso di fare gli scrittori (qualcuno l'aveva deciso all'asilo, ma va beh...), figuriamoci doverlo spiegare a chi ci porta a casa il pane e cambia le lenzuola.

Lo spazio, ecco un altro elemento che ha fatto capolino quasi immediatamente.

E ancora una volta, i soldi. O si ha la fortuna di possedere già una proprietà, oppure bisogna trovare un lavoro che ci permetta di affittare. Ma come si fa a conciliare la scrittura con un qualsiasi altro lavoro? Questo punto è saltato fuori spesso. Anche con la gang ne abbiamo parlato a lungo.

Siamo arrivati a fissare come border di sopravvivenza 600£ al mese. Che coprano l'affitto, la spesa, i mezzi, e forse - e solo forse - un'uscita al mese. Visto che le sterline non cadono giù dalle costerlazioni (terribile, lo so), si è parlato del lavoro ideale da conciliare. C'è chi dice il giornalismo, così almeno uno fa qualcosa di relativamente affine. Però Sue giustamente faceva notare: se passi sei ore a scrivere un pezzo, hai voglia a rimetterti davanti allo schermo per scrivere qualcos'altro. Un altro motivo per cui il giornalismo è da scartare è che ormai in Italia funziona per Master, e se hai deciso di investire quindicimila euro in un master sarà bene che tu ci creda davvero nella professione. Io personalmente mi vedo abbastanza bene esclusivamente nel giornalismo musicale (da reporter farei un po' ridere), ma anche lì è molto difficile entrare senza alcun tipo di formazione (o contatti).

Quindi? Quindi si è arrivati al punto di non ritorno. Che lavoro si può fare? Qualcosa che non impegni troppo la mente, dice Sue. Vero. E qualcosa che non abbia a che vedere con nessun altro tipo di policy, ovvero tutte quelle regole implicite che gestiscono la gerarchia nell'ambito lavorativo.

Quei meccanismi velenosi che fan sì che al lavoro quella certa cosa non la puoi dire, quel certo permesso non te lo puoi prendere, quella persona non la puoi toccare (figurativamente, eh).

Datemi un lavoro senza policy e sarò la scrittrice e la persona più produttiva e felice del mondo.

Con la gang qualche proposta si è fatta. Scartati il giornalismo e l'editoria (per gli stessi principi del giornalismo, ovvero che occupa troppa energia mentale, e che c'è bisogno del masterino costosino), abbiamo proposto il volontariato all'estero (vedi il programma europeo Youth in Action), le pulizie, l'assistenza agli anziani, e il caro, vecchio, negozio di saponi.

Be' lo sappiamo tutti, se scelgo di restare a Norwich tornata dal Sudamerica, cosa sceglierò.

E poi? Di cos'altro ha bisogno di uno scrittore?

Qualcuno con cui condividere.

Eh, sì, perché purtroppo un po' tutti gli scrittori (Stephen King a parte) sono affetti da terribili rimorsi appena finiscono un pezzo, un racconto, un capitolo. E nessuno se la sente di far leggere a qualcun altro, rimane tutto lì. Poi uno manda roba ai concorsi e alle case editrici e si stupisce se viene rigettato.

Punto primo: perché qualcuno apra una porta, bisogna bussare ad almeno cento porte. Perché uno ci faccia entrare, bisogna bussare a cento porte diverse tutti i santi giorni. (Tutti i diritti su questo aforisma sono riservati).

Punto secondo: condividere è bello, utile, proficuo. E c'è sempre qualcuno disposto a dare un feedback, se si conoscono le persone giuste.

A questo punto, con la gang e qualche membro aggiunto abbiamo deciso di fondare la nostra società letteraria. Ci riuniremo, leggeremo, editeremo, ci scambieremo idee e sfide letterarie.

E poi chi vivrà vedrà, io già sogno Interrail letterari in giro per l'Europa a scrivere sui treni e a riunirci a Parigi con il nostro primo manoscritto in mano.

Chissà.

Chissà.