giovedì 31 dicembre 2015

Capodanno a Great Yarmouth parte seconda

Qualche pensiero sparso.

Prima c'era la luna.


Poi i fuochi d'artificio sulla spiaggia. Una posizione privilegiata, in mezzo a sei diversi punti di sparo. Letteralmente in mezzo ai fuochi.


Spiaggia deserta. Solo qualche gruppetto che accende le fontane e i petardi. Tanti uomini e donne da soli. Una mamma con una bambina. Una mamma e un papà con un bimbo piccolo. Un pastore tedesco agitato.

Trombette. Sirene della polizia, che si era già vista in giro da questa sera tardi.

Quando scatta la mezzanotte, si sente Auld Lang Syne da un casinò vicino. E' una versione eretica, doppio del tempo e tunz tunz. Happy New Year gridato in lontananza. Poi si sente la stessa canzone da un ristorante o pub dall'altra parte della strada.

Torno in hotel, e accendo su BBC1 giusto in tempo per sentire e vedere Bryan Adams che canta Auld Lang Syne in diretta da Westminster. Poi Heaven e, senza grandi sorprese, Summer of '69. 



Come inizio anno, non posso lamentarmi. Poteva andare peggio.

Poteva essere Gigi d'Alessio.

Capodanno a Great Yarmouth

Un po' per scherzo un po' per disperazione, sono fuggita da Norwich per andare a finire nella cittadina più tacky (pacchiana) del Norfolk: Great Yarmouth. Cercavo il mare e l'ho trovato, insieme a tutta una serie di tratti caratteristici un po' meno piacevoli.

Dovevano far scattare un campanello d'allarme le reazioni sbalordite di colleghe &CO al menzionare Great Yarmouth come meta di questa fuga. Ma che volete che vi dica, il mare è mare anche a Rimini e a Riccione. Tant'è che -- all'alba del 31 dicembre -- poi tanto pacchiana Great Yarmouth non è. E' più deserta che altro.




Destinazione che ha passato da un pezzo i suoi anni migliori, qui persistono i fantasmi delle attrazioni più kitsch che la costa può offrire: minicasinò e bische a ogni angolo, file e file di sale giochi e altre amenità (minigolf, parcogiochi, trilioni di fish&chips e pub).


E la solita chiesa.


Ci si potrebbe domandare dunque che cos'ha questo villaggio ectoplasma da offrire proprio a Capodanno... Tranquillità, sicuramente. Tempo di qualità, speso a lavorare sulla bozza del mio romanzo NaNoWriMo.

Oh, e ovviamente.


A chiunque si sia preso la briga di venire a leggere, auguro un felice anno nuovo.

lunedì 30 novembre 2015

FINE.

Ho scritto la parola FINE.

30 giorni.
40+ bustine di tè alla liquirizia e menta.
78.842 parole.


domenica 22 novembre 2015

NaNoWriMo UPDATE



HO VINTO LA SFIDA!*


*Quella del NaNoWriMo. Ma non la mia personale. Al 22 di novembre 2015, la mia storia è esattamente a tre quarti. Altre cose devono succedere, e il mio obiettivo finale è quello di raggiungere 75k (75.000 per i non esperti) entro il 5 dicembre. Ulteriori aggiornamenti in arrivo.

venerdì 6 novembre 2015

Remember, remember

Cose che troverete in questo posto: cose a caso.

Cose che non troverete in questo post: un resoconto dettagliato di com'è andata la prima settimana di NaNoWriMo.

Ieri era Guy Fawkes, la festa nazionale nella quale gli inglese ricordano un tizio che cercò di far saltare il Parlamento per non so bene quale motivo. Lo ricordiamo anche per il faccino di V in V per Vendetta -- remember?

Per questo motivo oggi la città si è illuminata a festa e i fuochi d'artificio hanno allietato le centinaia di persone congregate in piazza del mercato. Dov'ero io? Sulla collina dietro casa a guardare lo spettacolo da due chilometri di distanza:




Ancora più spettacolare perché il tempo oggi ha fatto schifo e ha continuato a piovere per tutta la durata dello spettacolo pirotecnico. Il risultato è stato inaspettato: non sono riuscita a vedere la maggior parte dei fuochi, ma la luce colorata si riverberava nelle migliaia di molecoline di nebbia e pioggerellina, illuminando tutto il cielo.

Con i festeggiamenti di Guy Fawkes, io festeggio il primo grande traguardo del NaNoWriMo: le 10.000 parole!! Un quinto di quanto richiesto dal NaNo, un sesto di quello che mi sono proposta io per la fine di novembre. 'NGHIAFAMO? 'nghiafamo.

Prima del lavoro, in pausa pranzo, da Frank's Bar e al Bicycle Shop, prima di andare a letto... ogni momento è buono per buttare giù 800 parole. Andiamo avanti così, non facciamoci prendere dalla crisi della seconda settimana e vinciamo con stile la sfida!

Oltre a fare tic tic tac sulla tastiera, come sapete vendo saponi e quest'anno mi sto divertendo particolarmente grazie all'assenza (o, diciamo, scarsa presenza) di alcuni individui spiacevoli che due anni fa mi rendevano la vita un po' infelice. Yuhuu.

E il mio capo ogni volta che mi incontra per le scale mi chiede quante parole ho scritto oggi, quindi non potrei essere più contenta. (Sta facendo la sfida anche lui, ma a 200 parole al giorno... finirà l'anno prossimo XD XD)

Detto ciò, sempre il mio capo mi ha passato il Best Of di questo tizio, che mi piace da morire. Quindi ve lo ascoltate pure voi. 

Si chiama Ben Folds ed è un pianista rock da paura, e il mio capo mi ha raccontato che una volta ha suonato al Waterfront di Norwich e in un assolo di piano ha dovuto fermare la performance e fare accendere le luci della discoteca perché gli era partita la fede dal dito e doveva ritrovarla se non voleva divorziare.

Sì, lo so che non era necessario fare di tutta la frase un link, ma tant'è.

Finiti gli aggiornamenti random, a risentirci a quando succede qualcosa di interessante.




domenica 1 novembre 2015

NaNoWriMo #1 THE GAME IS ON

E così quest'anno è diventato l'anno. Me lo diceva anche Cole, un mio writing-buddy ed ex compagno di MALT alla UEA, che quest'anno il mio romanzo sarebbe uscito alla luce del sole, inaspettato come le ragnatele coperte di brina.

Ma io non ci credevo, e dicevo che non ce l'avrei fatta. E invece quando sono tornata dalla Sicilia avevo con me 50.000 parole di un romanzo.

Che ho buttato dalla finestra.

(Non letteralmente.)

Ho semplicemente deciso di ricominciare tutto da capo e farlo insieme a una comunità di decine di migliaia di persone che hanno deciso di accettare la sfida del...


La sfida? 50.000 parole in 30 giorni. Il che vuol dire esattamente 1667 parole al giorno (due pagine e mezzo, TNR 12, interlinea 1,15). Una follia? 

Sì. Assolutamente sì.

Per tirare fuori quelle due pagine e mezzo ci vogliono circa tre ore al giorno (per la sottoscritta. Di sicuro i consumatori di caffè hanno molte più probabilità di tirare fuori molta più roba in molto meno tempo.)

Eppure ne vale la pena. Alla fine del mese, se tutto va bene avremo qualche chilo in meno e 50.000 parole nel sacco, che faranno schifo, ma saranno un ottimo inizio.

E anche qualche amico scrittore in più, che fa solo bene. Stando al gruppo di Facebook, siamo in mille solo a Norwich e dintorni!

Sabato 31 è stato lanciato l'evento che ha dato inizio alla sfida, in una sala della biblioteca centrale di Norwich. Mi aspettavo una specie di festicciola tra supernerd troppo impegnati a calcarsi gli occhiali sul naso e a guardare per terra per fare conoscenza e invece è stato una mega full immersion nell'universo del nostro romanzo.

In quattro ore, ci siamo occupati di trama e personaggi, condividendo con gli altri partecipanti (una ventina) tutto quello che volevamo condividere.

Ci riuniremo con il gruppo ogni mercoledì sera in biblioteca e ogni giovedì sera al Café Waterstones (dentro alla libreria Waterstones) per fare esercizi di scrittura e per pompare il nostro conteggio di parole sul sito del NaNoWriMo, che ci ricompensa con simpatici adesivi per ogni piccolo o grande risultato che otteniamo (che sia aggiornare il conteggio di parole per due giorni di fila, o arrivare a 5000 parole il terzo giorno).

Oggi, il primo giorno del NaNoWriMo, non poteva andare meglio. Si prospettava un inizio terribile quando ieri sera mi sono resa conto che sarei andata a letto tardi e mi sarei addormentata tardissimo (compleanno della mia coinquilina/padrona di casa, botto di gente, un sacco di casino). Tanti partecipanti al NaNoWriMo hanno iniziato allo scoccare della mezzanotte, ma io ero intrappolata a fare presenza insieme agli altri invitati del party. Per carità, ci stava, ma io oggi lavoravo.

Quindi verso l'una e mezza mi congedo e vado a letto, constatando che c'è mezzo muro che separa la mia stanza da un soggiorno pieno di gente ubriaca che non accenna ad abbassare né la voce né la musica.

A mali estremi, dopo aver confezionato dei tappi di fortuna con della carta igienica, ed essermi fasciata le orecchie con una sciarpa, un berretto e un altro foulard, sono miracolosamente riuscita a prendere sonno dopo aver puntato la sveglia alle 8.

Mi sveglio alle 9, che non è un dramma perché inizio a lavorare alle 11, ma volevo fare due ore di scrittura e me ne rimane solo una. Ma il bello del NaNoWriMo è che ti insegna a fare quello che ogni vero scrittore deve fare per andare avanti: non cedere alla tentazione di rimandare la scrittura alle "circostanze favorevoli". Le circostanze favorevoli non esistono. Esiste la vita, i suoi imprevisti, il lavoro e le faccende di casa che si mettono nel mezzo. (Senza contare: crisi relazionali, malattie, giornate no...)

Così ho preso il computer e ho tirato giù le prime 847 parole di Titolo A Sorpresa prima di un turno di sei ore alla Lush.

Finito il turno in negozio (giornata di grandi ricompense, una buffa vecchietta divertita dalle mie burlonerie mi ha stampato un bacio sulla guancia, e un bambino è venuto a ringraziarmi personalmente per averlo fatto sedere su uno sgabello mentre i suoi genitori compravano roba), mi sono concessa un Sunday Lunch da Frank's Bar, sicuramente il primo posto che mi verrebbe in mente se dovessi pensare a un write-in a Norwich: un po' hipster, con sedie e tavoli recuperati da chissà dove, candele dappertutto, lampade improbabili.

E i migliori bagel domenicali della città.

Così, con il mio fido bagel nel pancino e un cameriere carinissimo, sono riuscita a buttar giù altre 892 parole - 72 parole più del target giornaliero.

Ma non è ancora finita qui. Ci sono ancora un paio d'ore prima di andare a letto. 



giovedì 8 ottobre 2015

Sunny with a chance of... poetry (Piovono Poesie)

In onore del #nationalpoetryday qui in Regno Unito, c'è qualche pensiero che mi sento di condividere.

Esattamente un anno fa, mi trovavo in ritiro nella città di Valparaíso, Cile, a scrivere. Mi alzavo, scrivevo, mangiavo una empanada, salivo e scendevo scalini, scrivevo, scrivevo, cercavo di accendere la bombola per riscaldare il monolocale dove stavo, e avevo ancora la penna in mano.

Valparaíso mi ha lasciato i ricordi dei quali andavo in cerca da quando viaggiavo in treno con Chema a Milano, dopo il laboratorio di teatro, per andare a imbucarmi in Bocconi al seminario di Stefano Benni. (Si parla del 2007, l'annus mirabilis della mia giovinezza.)

E' anche stato un po' il preludio alla conclusione, la salita (quasi letterale) che ha portato all'Isola di Pasqua e al mio ritorno a casa. 

Lungo la strada ho incontrato diversi personaggi, ma quelli che sicuramente hanno lasciato il segno più profondo sono due dei quattro membri del collettivo Casagrande, Julio Carrasco e Santiago Barcaza. I quattro Casagrande mi hanno ispirato con i loro interventi poetici, uno più matto dell'altro, e non potevo che sperare che un giorno anch'io avrei assistito a uno di questi eventi.

Di certo non avrei mai immaginato che ne avrei addirittura preso parte.

Il 26 settembre 2015, poco prima del tramonto, un elicottero si librava su Piazza del Duomo, davanti agli occhi di una marea di persone, chi più e chi meno ignare di quanto stava per accadere.

Il 26 settembre 2015, poco prima del tramonto, Cristóbal Bianchi e Julio Carrasco, del collettivo Casagrande, hanno rovesciato 140.000 segnalibri sulla piazza, mentre Santiago Barcaza e Joaquín Prieto si confondevano nella foresta di braccia distese al cielo.

Il 26 settembre 2015, 140.000 poesie di una sessantina di autori cileni e italiani sono state raccolte dalle mani di chiunque si trovasse per caso all'ombra del Duomo e nei dintorni. E in mano a un bambino sulle spalle di un papà, o tra le rotaie del tram, ai piedi di Vittorio Emanuele II, e perfino in testa a colui che una vita fa è stato il mio migliore amico, ci sono finita pure io.

Con dei versi che appartengono a una raccolta nata per caso, Tace la pietra, scritta di getto una mattina che ho passato al Cimitero Monumentale di Milano insieme a un amico fotografo. Una poesia scelta per caso, da Julio in persona, e mi sta bene così.

Dove guardano gli angeli
è lì dove finisce
ogni primo bacio,
ogni fiocco di neve.

Condannati a rivivere
le felicità della loro vita
Dio voleva farli beati
muoiono di nostalgia.


(foto di Carlo di Pasquale, dal post della Repubblica)


(foto di Eva Christina Sommeregger)


(foto di Eva Christina Sommeregger)

giovedì 6 agosto 2015

Once you go Haggis... 7 giorni in giro per la Scozia

E alla fine ci sono andata in Scozia. Con la Haggis, un tour operator più o meno low cost, più o meno sostenibile, ma molto molto divertente.

Dopo una traversata epica col Pozzi a bordo di un Megabus Gold ("gold" ahahah) da Londra (23.00) a Edimburgo (7.40) partiamo alla volta di Inverness, dove passeremo la prima notte, su un autobus che promette abbastanza bene:


Il tour è strapieno di cose da fare, il ritmo è serrato e dubito che mi ricorderò tutte le fermate che sono state fatte. Dei momenti "scendi dall'autobus, scatta la foto, risali sull'autobus" non ricordo molto, per cui mi soffermerò solo sulle cose che vale la pena di raccontare.

Una delle prime fermate sulla strada tra Edimburgo e Inverness, dove abbiamo passato la prima notte, era St. Andrews, casa del golf, dei golfisti e dei pazzi per il golf, insomma, diciamo che non è stato facile ignorare che ogni vetrina della città aveva in esposizione mazze, palline e kilt. A parte il fatto che io e il golf non siamo mai stati nella stessa frase, St. Andrews mi è sembrata comunque una città molto carina -- con tanto di castello in rovina e università centenaria.




Nel pomeriggio del primo giorno ci siamo fermati alla distilleria del whisky Tomatin nei pressi di Inverness, dove il giovane Hector ci ha spiegato per filo e per segno i vari passaggi della distillazione del whisky. Siamo finiti nel capannone dove il whisky viene lasciato a decantare, e abbiamo visto una botte del 1967, dal valore inestimabile, e tante altre botti stravecchie. 


Prima di arrivare a Inverness, ci siamo fermati sul campo di battaglia di Culloden (1745, britannici contro giacobiti e francesi) segnato dalle lapidi sotto le quali erano sepolte le vittime dei vari clan scozzesi:


Poi a Inverness siamo stati lasciati liberi di vagare un pochino per procacciare la cena, e ci siamo imbattuti nel castello della città:



E nel fiume e lungo fiume della città: 



Abbiamo passato la serata a Inverness, dopo un giretto al pub locale dal nome impronunciabile (Hootananny) dove suonavano musica live scozzese, e siamo crollati in un ostello che sinceramente ho rimosso dalla memoria.

Il secondo giorno dovevamo andare alle Orcadi, ma prima ci siamo fermati per qualche foto alle bellissime scogliere di "inserire nome topografico scozzese" con il mio pal-mate-Mattia:

Il traghetto l'abbiamo preso poco lontano da John O'Groats, che si dice che sia il villaggio più a nord della Scozia e che è la meta più odiata dalla nostra guida, Greg (e non ha tutti i torti, visto che il villaggio è fatto da una strada e un parcheggio).



Mentre la prima attrazione archeologica delle Orcadi, la Tomb of Eagles, non mi ha lasciato granché impressionata. Il fatto archeologico in sé è interessante (una tomba dove sono stati ritrovati una sacco di teschi e ossa umane insieme a ossa di aquile... perché le aquile? non si sa), ma il sito è davvero piccolissimo. Per arrivarci c'è una bellissima passeggiata attraverso l'isola più vicina alla Scozia, mentre per entrare a vedere i teschi bisogna gattonare in un tunnel di tre metri per arrivare alla tomba:


Il passaggio da un'isola all'altra delle Orcadi è stato ricco di bei paesaggi e aneddoti storici (con tanto di navi tedesche della IIGM affondate ma ancora visibili a Scapa Flow), ma l'isola più a nord è molto più interessante. A partire dalla città principale, Kirkwall, dove avevamo l'ostello.



Ho trascinato Mattia in giro per la città, cercando di rincorrere il tramonto, nascosto da orribili edifici industriali che su un'isola delle Orcadi c'entrano come gli elogi funebri ai matrimoni. Siamo riusciti più o meno a vederlo, ma nessuna traccia delle lontre promesse dal cartello di cui sotto: 


Il secondo giorno sulle Orcadi (il terzo giorno in tutto) è stato parecchio interessante. Fermata paesaggistica sul luogo più a nord in cui sia mai stata (hence, la maglia dei Led Zeppelin che mi segue in capo al mondo):


Ma il punto più interessante della giornata è tra le bucket list di molti, il Villaggio di Skara Brae. Uno di quei posti da dover visitare almeno una volta nella vita: un villaggio del neolitico perfettamente conservato occupato dal 3100 a.C. e il 2500 a.C.:




Siamo poi passati a un posto fichissimo, il Ring of Brodgar, forse l'attrazione che mi ha colpito di più (oltre all'isola di Skye, ma ne riparliamo dopo), una specie di Stone Henge più antica (2500 a.C. circa). La cosa bella del sito era che al contrario di Stone Henge (dove ti tengono bene alla larga dalle standing stones), puoi avvicinarti, abbracciare o sbaciucchiarti le pietre quanto vuoi (Elena for scale):


Ritornati sulle Highland, abbiamo fatto una fermata attraverso lo spazio-tempo e siamo stati sguinzagliati nella tenuta del castello di Dunrobin, che sembra uscito dal vassoio dei castelli della Loira che giace impolverato nella vetrina di casa mia in attesa che mia mamma prepari le tartine al patè:


In questo castello ho assistito al mio primo spettacolo di falconeria, durante il quale un addestratore ha fatto volare a pochi millimetri dalle nostre teste l'uccello più veloce del mondo, il falco pellegrino. A dire la verità, è stata davvero una figata.

Prima di arrivare a Loch Ness, della quale non ci sono foto perché non c'era niente da vedere, abbiamo fatto la nostra buona azione quotidiana, fermandoci da Trees for Life per fare la nostra parte nella riforestazione della Caledonia:

Un altro favoloso castello -- nel quale però non siamo potuti entrare -- il castello di Eilean, rimarrà nei nostri ricordi visto da lontano sotto un cielo cangiante e accompagnato dal suono di una cornamusa (mancava solo un sandwich all'Haggis e un sorso di Irn Bru, Scotland, duh!)...


La notte che abbiamo passato nell'ostello dei pressi di Loch Ness è stata divertente e triste allo stesso tempo. Per questioni di risparmio (così crediamo), la Haggis fa una cosa un po' antipatica con i gruppi che porta in tour: si permette di cambiarti la guida dopo tre giorni e di accorparti ad altri gruppi già formati e già in tour. Non è stato molto piacevole, anche perché ci eravamo parecchio affezionati a Greg, e non è stato facile integrarsi con quelli del gruppo dell'altro tour -- che ci guardavano un po' dall'alto in basso, ecco. Detto ciò, la serata passata a Morag's Lodge è stata una figata.

Nel minipub dell'ostello un duo di musica tradizionale scozzese ha messo su una sessione di Ceilidh durante la quale ci siamo fatte grasse risate. Poi la musica tradizionale si è trasformata in Sweet Home Alabama e la serata danzante è andata avanti fino alle tre di notte tra i broccolamenti vari (altrui, ovviamente, perché uno degli svantaggi di portarti un amico in giro per il mondo è che la gente dà per scontate un sacco di cose...).


Finalmente siamo arrivati a Skye, ma con un'altra guida - Grant - un altro autista - Jason - e un pullman molto più grande. A parte il fatto che Grant non si sbatteva molto per farci fare gruppo, siamo riusciti lo stesso a goderci (anche se brevemente, molto brevemente) il paesaggio di Skye che, come annunciato dal mio ex collega Max, è semplicemente dell'altro mondo.




Siamo quindi arrivati al penultimo giorno di tour, quello un po' più deludente. Dopo una mattinata praticamente persa ad aspettare l'ora di partenza del traghetto verso la terraferma, il pomeriggio è stato speso a bordo del Jacobite Train (eh sì, non potevo assolutamente farmelo mancare!), il treno a vapore che attraversa le Highlands e che è stato l'Hogwarts Express di Harry Potter:



La sera del sesto giorno abbiamo pernottato a Oban, che non abbiamo praticamente visto se non per un'altra serata danzante allo Skipinnish Ceili House (promozionata allo sfinimento da Grant, ma che in realtà si è rivelata un po' una trappola per turisti... allegri turisti danzanti, ovviamente... però sempre turisti). 

Sulla via del ritorno per Edimburgo, giorno 7, ci siamo fermati a Glen Coe, una vallata stupenda ai piedi del Ben Nevis che ha anche fatto da set per film come Harry Potter e il prigioniero di Azkaban, Skyfall, e Monty Python and the Holy Grail.


L'ultimissima fatica del tour, in cima a una collina che sovrasta la bella città di Stirling, si trovava il monumento a William Wallace, che meritava soprattutto per la visuale sulla città (anche se sicuramente il castello di Stirling sarebbe stato una figata da visitare, ma non era incluso).



Riassumo qui l'itinerario per chi fosse interessato al tour Island Explorer, di 7 giorni, con la Haggis Tour:

Day 1: Edinburgh - St. Andrews - Inverness
Day 2: Inverness - Kirkwall (Orkney Islands)
Day 3: Orkney
Day 4: Orkney - Lochness
Day 5: Isle of Skye
Day 6: Skye - Jacobite Train - Oban
Day 7: Oban - Stirling - Edinburgh

Personalmente raccomando la compagnia per l'atmosfera che si crea con i compagni di viaggio, che mi ha ricordato quella delle gite scolastiche e delle vacanze studio (gente da tutto il mondo, in questo caso principalmente Australia, Canada e NZ; cantare Bohemian Rhapsody sul bus; nottate in discoteca a divertirsi come matti...), ma non dico che la Haggis non abbia i suoi difetti: in particolare lo spirito turistico dietro alla seconda parte del tour, quella con Grant, facilmente riassumibile in "scendi dal bus, scatta la foto, risali sul bus".

Detto ciò, mi sono divertita parecchio, ho conosciuto persone bellissime, ho visto posti stupendi e mi sono presa un raffreddore della miseria, scontato durante i miei ultimi tre giorni di visita a Edimburgo, della quale parlerò nel prossimo post.

Fino ad allora, un altro morso al sandwich all'haggis e un altro sorso di Irn Bru.

giovedì 2 luglio 2015

#ThrowbackThursday Rocca Reina

Ho rimandato questo post per più di un mese, ormai, e le conseguenze si sono viste.

Avevo delle foto, delle foto stupende di questo posto incastonato sui monti sicani dell'entroterra siciliano, ma sono andate perse per mia distrazione.

Per non affidarmi a foto di terzi, dovrete fare lo sforzo di chiamare la vostra immaginazione a figurarsi quello che è un posto alieno alla realtà dell'entroterra siciliano, benedetto dalla bellezza e dalle antiche culture che lì si sono incrociate, ma sfigurato da un ben altro tipo di cultura, quella dell'invidia, la piaga più inestirpabile che in Sicilia si tramanda verticalmente, di generazione in generazione, come li cunti, le tradizioni e le ricette della nonna.

Chiusa questa parentesi sulla nostra Sicilia dolorosa, voglio spendere due parole per questo posto, sperando che qualcuno lo cerchi su Google e trovi questo post.

Rocca Reina.

Innanzitutto dove si trova: a Santo Stefano Quisquina, tra Palermo e Agrigento.

Cos'è. Una fattoria didattica, un museo a cielo aperto, una proprietà pastorizia... No, faccio prima a dire chi è.

Rocca Reina è Lorenzo Reina, pastore e artista. Un pastore che ha promesso al padre di non far morire un'attività portata avanti da chissà quante generazioni e un artista che ha imparato che si può fare arte con il territorio, sul territorio e per il territorio.

Cosa troverete a Rocca Reina.

Opere d'arte dappertutto. Sparse sul territorio della Rocca, così come racchiuse in un m(a)us(ol)eo a pianta ottagonale (anch'esso una piccola opera d'arte).

Un piccolo anfiteatro di pietra. Arrivati al teatro, non potrete non immaginarvi Lorenzo che, una dopo l'altra, posa le pietre dell'anfiteatro e monta la porta di ferro battuto che lo chiude. Dal teatro, nelle giornate belle si può vedere perfino il mare, a chilometri e chilometri di distanza. Nelle giornate brutte, le montagne e colline intorno vengono avvolte dalla bruma, immergendo il teatro in un'atmosfera che si presta alla più straziante delle tragedie greche.

Asini. Asini, perché Lorenzo, non dimentichiamolo, è ancora un pastore, e di tanto in tanto si diverte a mostrare i suoi asini ai bambini, che non hanno ancora sviluppato un occhio per l'arte, ma che sanno benissimo che la Natura è la madre di tutte le arti.

Lorenzo Reina. Non mi va di raccontarvi la sua storia, perché ha molto più senso che lo faccia lui. Lo troverete lì, a Rocca Reina, a badare agli asini o lì al teatro a guardare il mare.

[Che poi, le foto le ho trovate. Here's a treat.]