giovedì 31 ottobre 2013

Kitchen fitness, carboidrati e un pizzico di britannicità

La UEA organizza di tanto in tanto dei tour del campus per futuri studenti, genitori di futuri studenti e per curiosi. Come ho già raccontato a qualcuno di voi, da un mesetto lavoro per l'ufficio che si occupa di questi tour. In qualità di rappresentante dell'appartamento mi occupo di accogliere questi ospiti, mostrare loro la cucina e la mia stanza per spiegare un po' com'è la vita qui nel campus. 

Settimana scorsa è venuto un gruppo di studenti italiani in vacanza studio a Norwich. E' stato divertente fingere per un minuto e mezzo di essere un'autoctona per poi palesarmi e ottenere una schiera di "OOOOOH ma tu sai l'italiano". 
"La questione è un po' diversa, io sono italiana." 
"E allora perché stai qua in Inghilterra??"
Benedetti ragazzetti italiani. Evito una qualsiasi risposta sarcastica perché non sono una fan delle battute servite su un piatto d'argento. Come ogni volta che mi viene posta una domanda che inizia con "perché", rispondo "perché no?". E, da brava student ambassadress mi limito a sorridere e aprire la porta della mia stanza.
Una parte di me è perita dopo una lenta e dolorosa agonia dopo che una ochetta, uscendo, ha commentato: "Che tristezza, tiene una foto di suo padre nella stanza". 
Indicando una foto di Fabrizio De Andrè.

E' un po' strano far entrare dei perfetti sconosciuti nella propria camera, mostrar loro l'armadio, i cassetti e quant'altro... Se non altro, oltre ad aiutarmi a far tornare i conti a fine mese (più o meno...), mi aiuta a evitare che la stanza cada nello stato di degrado che solitamente si abbatte sugli ambienti che frequento. Ebbene sì, sono diventata quasi una persona ordinata (ma quando esagero rovescio apposta i libri sulla scrivania e impilo i vestiti sulla sedia per non scombussolare troppo l'ordine naturale delle cose).
Sta di fatto che la sera che precede queste visite guidate è la mia sera preferita in assoluto: visto che tocca sempre a me pulire la cucina, cerco di rendere la cosa meno sgradevole con un paio di cuffie e della vecchia e sana musica trash (i Motley Crue, Elena? Seriously??). Roba da far impallidire Tom Cruise!


Be', tra ieri e oggi me la sono scialata da morire perché oltre ai visitatori avevo anche programmato una serata "pasta" con i miei compagni di corso: Valentina, Cole, Livvy, Hannah e Anna. Quindi ho passato tutto il pomeriggio a pulire la cucina (perché nel frattempo i miei coinquilini avevano fatto in tempo a riportarla al suo stato originario) e cucinare. Cari i miei zumbadipendenti, scordatevi l'aerobica afro-caraibica, perché la nuova frontiera del fitness si pratica dietro ai fornelli! Un gran bel paradosso, no?

Dopo la mia sessione di Ballo della Casalinga hardcore (me lo sono ricordato solo adesso! Poi la gente si chiede perché in Italia fiorisce il mercato della musica da balli di gruppo... http://www.youtube.com/watch?v=a99JTkmONzI) ho ricevuto i miei ospiti, che nel frattempo si erano dimezzati.
Livvy aveva una cena coi suoi, Valentina non vedeva la bambina da tutto il giorno (che è una tortura per la nostra neomamma) e Cole è corso a casa a fare lo studente modello. A questo punto, chiedo a Jennifer, la mia coinquilina americana, se ha voglia di unirsi a noi. Dopotutto, ho solo impiegato due ore per cuocere un chilo di pasta (in quattro tempi, perché giustamente non dispongo di una pentola dalle dimensioni adatte). Fortuna che non l'avevo ancora condita. 

E' finita che, chiacchiera di qua, chiacchiera di là, le mie adorabili ospiti si sono servite di: 
una porzione di pasta al pesto alla siciliana (che era quella in programma, facile e indolore)
una carbonara improvvisata al Camembert (avevo il frigo vuoto!)
e, udite udite...
una umile ma intramontabile pasta col formaggino. Credevo di essermi già superata con la carbonara 2.0, ma con la pasta col formaggino posso dire di aver definitivamente convertito le mie amiche al Pastafarianesimo. 

No, sul serio, quelle tre si son fatte fuori quasi un chilo di pasta! Sono profondamente ammirata.

Dopo la pasta e le confidenze del cuore (awww, ma che tenerezza), abbiamo concluso la serata con Fantascatti e Dobble. Quando torno in Italia a Natale devo assolutamente pensare a che altri giochi in scatola posso portare alle mie compagne di merende. Un Jungle Speed, magari? 
La cosa divertente è che oltre ad averle iniziate al gioco in scatola, mi è anche toccato estirpare loro l'inestirpabile: la britannicità (parlo di Hannah e Anna, Jennifer è americana, a voi le conclusioni!). 
Non-si-può giocare a Fantascatti fermando la mano questa maniera: 
"Prima tu"
"No prima tu"
"No prima tu"
"Insisto" 
E' contro ogni norma! Cosa faranno le poverette quando verranno in Italia e giocheranno con i miei amici? Si guarderanno i segni rossi e i graffi sulle mani, pensando "ma chi me l'ha fatto fare", probabilmente.

La chiudo qui perché vorrei provare a riposare un po'. Si prospettano giorni di incontri interessanti, se non altro domani sarà l'Halloween più lungo che avrò mai festeggiato... Staremo a vedere perché...

Intanto vi saluto con questo tributo scrubsiano alla scena di cui sopra:


giovedì 24 ottobre 2013

Strane storie

L'orario di pubblicazione di questi post si sta facendo sempre più tardo... Il che vuol dire che sto tornando ai miei vecchi ritmi italiani, mentre tutto il resto del mondo qua va a letto alle nove e mezza. Be', da gente che cena alle cinque e che va ai concerti alle sette, non ci si può aspettare altrimenti, no?

Poco male, userò il tempo che rubo al sonno (tanto glielo rendo domattina) per aggiornarvi.

Oggi mi è toccata la presentazione in classe sulla teoria polisistem(at)ica. Quella roba brutta che domenica sera non avevo assolutamente voglia di leggere. Ovviamente me la sono dovuta studiare lo stesso e oggi l'ho presentata ai miei fellows, e posso dire di essermela cavata egregiamente. All'inizio un po' in ansia, anche perché dopo le presentazioni i compagni sono tenuti a evidenziare punti a favore e a sfavore dell'esposizione... e non è che muoia dalla voglia di essere esposta al pubblico ludibrio così a gratis. E invece i miei compagni sono stati entusiasti, soprattutto perché mi sono permessa di dire la mia su tale teoria, smontarla elegantemente e ottenere il consenso generale.

Una volta ogni tanto, anche a me piace ottenere consensi. Ma raramente, però.

Poi abbiamo discusso dei saggi con Lina, l'assistente di Jean. Di come si scrive un saggio, come si fanno le citazioni, che tipo di argomenti abbiamo intenzione di portare. E, inaspettatamente, mi sono ritrovata a essere l'unica con le idee abbastanza chiare su almeno uno dei due saggi (Dante, perché la nuova traduzione di HP mi ha deluso parecchio). Anzi, vi dirò di più, la mia compagna più brillante, un mostro di cultura, una che se non dice la sua su ogni argomento non dorme la notte, è andata in crisi quando le è stato chiesto che cos'avesse intenzione di portare. Le è salito un magone della miseria e ha lasciato la classe in lacrime.

Sono certa che per la mia amica la causa della crisi non fosse esclusivamente l'idea di non avere (per adesso) nessun argomento convincente per il saggio, e che i fattori che possono contribuire a fare di un normalissimo giovedì una giornata "no" sono infiniti. Dalla sindrome premestruale a un sms infelice, dall'arrivo della busta paga con relative deduzioni fiscali a un impiegato stronzo della posta. Però mi sono fermata a riflettere su quanto ci sbagliamo nel valutare le persone. Noi compagni di corso siamo sempre stati un po' intimiditi da questa ragazza così dedita allo studio e nessuno avrebbe mai detto che una sciocchezza del genere l'avrebbe fatta crollare.

Questo ci insegna, bambini, che la sfrenata competitività e la pressione a cui a volte sottoponiamo noi stessi sono deleteri e che quindi dovremmo tutti tirare un po' il freno. [Ecco, era partita come una denuncia nei confronti delle prime impressioni e della superficialità, ed è finita per diventare un inno al fancazzismo.]

Non a caso per domani abbiamo organizzato un bel pomeriggio (per i miei fellows anglofoni sarebbe meglio dire "sera") a base di biscotti, torte, tè e, a quanto pare, alcool. E il primo che si azzarda a parlare di traduzione e saggi, penitenza. (Cole non sa di questo accordo stipulato tra me e le due (H)anna(h)s, sarà divertente fargli fare qualcosa di imbarazzante.)

Dopo la lezione di teoria e l'incontro con Lina, siamo andati a un seminario con Timberlake Wertenbaker, la drammaturga. Non eravamo sicuri che fosse obbligatorio per noi traduttori e infatti dopo mezzora di prove aperte (attori, registi e drammaturghi che lavorano su testi originali sotto la supervisione di Timberlake) ci siamo resi conto di essere tutti nel posto sbagliato. Solo all'ultimissimo minuto - dopo due ore e mezza seduti in un angolo con l'espressione sul viso che diceva chiaramente "qualcuno ci consideri" - ci è stato detto che al prossimo incontro potremo consegnare ciò che abbiamo tradotto. Ah, be', grazie della considerazione!

Alla fine per il seminario di Timberlake ho scelto di tradurre dallo spagnolo all'inglese una scena da Historia de una escalera di Antonio Buero Vallejo. L'ho sottoposto al giudizio dei miei compagni, che mi hanno corretto un po' di sbavature e me l'hanno anche recitato! E' stato spassoso vedere Livvy e Cole impegnati in un dialogo amoroso carico del simbolismo straziante e critico verso la società spagnola. Alla fine di tragico non aveva praticamente nulla, quei due erano talmente imbarazzati che noialtri non potevamo fare a meno di spanciarci dalle risate.

Però questa cosa che tra una lezione e l'altra ogni tanto facciamo leggere agli altri le nostre traduzioni è molto molto costruttiva. In particolare per me, che in realtà non potrei far leggere a nessuno le mie traduzioni dall'inglese all'italiano e che quindi porto sempre roba scritta in inglese. Stamattina, per esempio, mi sono trovata con Anna a vedere le traduzioni della Merini. E non è stato disastroso come pensavo, anzi, Anna è stata molto carina e ha saputo apprezzare e interpretare la maggior parte delle scelte che ho fatto. Poi abbiamo letto le sue traduzioni di Yves di Manno, un poeta contemporaneo francese, e la traduzione di Hannah di una scena tratta da Il Gabbiano di Checov. Cole ancora non ha scelto un testo teatrale, così gli ho passato Tingeltangel di Karl Valentin (Carbone Dario, wink wink). Spero vivamente che faccia la Liebesbrief, tradotta in italiano da non si sa chi (l'ho ritoccata un po', così la SIAE non rompe):

Monaco, 33 Gennaio 1925 e ½

Mio caro amato,
con mani piene di lacrime prendo la penna nelle mie mani e ti scrivo. 
Perché non mi hai più scritto, se l’altro giorno mi scrivesti che mi avresti scritto tu se non ti avessi scritto io? Ieri mi ha scritto anche mio padre. Scrive di averti scritto. Ma tu non mi hai scritto una parola del fatto che lui ti ha scritto.
Se tu mi avessi scritto almeno una parola sul fatto che mio padre ti ha scritto, io avrei scritto a mio padre che tu gli avresti voluto scrivere, ma che purtroppo non avevi tempo di scrivergli, altrimenti gli avresti scritto.
E’ una cosa ben triste questo nostro scriverci, perché tu non hai scritto in risposta a uno solo degli scritti che ti ho scritto io. Sarebbe diverso se tu non sapessi scrivere, perché allora io non ti scriverei affatto, tu invece sai scrivere però non scrivi lo stesso quando io ti scrivo.
Chiudo il mio scritto con la speranza che ora finalmente mi scriverai, altrimenti questo sarà l’ultimo scritto che ti scrivo. Se tu però anche questa volta non mi dovessi scrivere, scrivimi almeno che non mi vuoi scrivere affatto, così se non altro saprò perché non mi hai scritto.
Perdona la mia pessima scrittura, mi viene sempre il crampo dello scrivano quando scrivo, a te naturalmente il crampo dello scrivano non può proprio venire, perché non scrivi mai.

Saluti e baci,
tua N. N. 

Con questo brillante scritto vi lascio, sperando che sia d'ispirazione a chi vorrebbe tanto scrivermi due righe ma proprio non riesce a trovare il tempo per farlo...





domenica 20 ottobre 2013

Oggi è stata una giornata produttiva

tutto sommato.

Benché il mio saggio dantesco abbia trovato una fase di stallo che non sarà facile svicolare, sono felice di aver scritto all'esimio professor Franchi che mi ha risposto dicendomi che le mie domande hanno avuto su di lui l'effetto di un TIR in piena corsa (testuali parole).

E sono altrettanto contenta che Franchi abbia definito Dante "non esattamente un mostro d'umiltà".

E non posso dirmi dispiaciuta del fatto che oggi ho tradotto un botto di roba. Dall'inglese all'italiano, l'intero libro Where the Wild Things Are, che è diventato Là dove stanno le cose selvagge. Dall'italiano all'inglese, cinque mie poesie da Tre Concerti (finalmente in fase di pubblicazione, ne riparliamo a dicembre!), una poesia di Manuel Serantes e otto poesie da La Terra Santa di Alda Merini.

Il tutto è ovviamente avvenuto dopo le 23 di stasera, perché durante il resto della giornata sono stata troppo occupata a fare presenza alla festa di compleanno della piccola Chloe (dove ho rivissuto le migliori scene de Il mio grosso grasso matrimonio greco) e a contoncermi dal mal di schiena sul letto mentre fingevo di essere interessata a un saggio sulla teoria polisistematica (non mi si chieda che cos'è, perché non ne ho idea, dopo due pagine ho mollato e ho fatto un po' di filosofia).

Mi viene un po' da ridere pensando che tre quarti delle traduzioni che ho fatto fino a ora sono dall'italiano all'inglese e non viceversa, come dovrebbe essere. E' che da quando sono qui mi è venuta 'sta botta di patriottismo (quello benigno) e non riesco a smettere di pensare che è profondamente ingiusto che il mondo anglofono si perda la bellezza di autori come la Merini che non sono stati tradotti se non in rarissimi ambiti accademici. D'altra parte c'è un motivo se ancora prima di metter piede sul suolo anglico mi sono sempre dichiarata a sfavore di mie traduzioni dall'italiano all'inglese. Perché non ne sono in grado.

Ora però mi piace terminare la frase con uno speranzoso:
"...adesso."

E' vero, non ne sono in grado adesso. Ma dopo aver passato quattro ore a cercare di tradurre la Merini (non mi si venga a dire che mi son scelta la più difficile del mazzo, perché in ogni caso la poesia non è mai facile), riguardando questi versi tradotti in un inglese poetico goffo e disperato, posso dirmi "magari domani saranno più belli". E giorno dopo giorno, chissà.

Vale la pena fare il tentativo, perché se sono qui non è per dimostrare niente a nessuno, ma per prendere tutto ciò che posso. Anche l'eventuale catastrofico fallimento.

Tanto, alla peggio, posso sempre vendere saponi per tutta la vita.

PS: Mamma e papà, l'ultima frase è ironica, eh.

giovedì 17 ottobre 2013

Eight days a week

Provocatoriamente intitolato come una delle canzoni dei Beatles a cui sono più legata (provocatoriamente perché stasera mi sono sentita dire che i Beatles sono decisamente sopravvalutati e si sa quanto io sia permalosa sull'argomento), questo post vuole riassumere un po' di ultime cose che non ho avuto ancora il tempo di scrivere. 

Non ne avrei nemmeno adesso, è stratardi e domani lavoro sia alla Lush che per il campus, ma mi sacrificherò lo stesso.

Stasera sono andata fuori a mangiare con i miei compagni di corso, che adoro, non credevo che avrei mai avuto l'occasione di sentirmi dire una cosa del genere ma siamo un gruppo molto affiatato. Per davvero. Insieme a noi c'erano Alex e Lina (due dottorandi), e Daniel, del centro britannico per la traduzione (BCLT). Mi sono trattenuta dall'incollarmi a Daniel tutta la sera - da quando ho saputo della sua esistenza, guardo il BCLT con grande interesse - e invece ho scoperto Alex. Alex è toscano per metà, lavora con l'italiano, e il soggetto principale di studio del dottorato sono le traduzioni inglesi di fumetti come Dampyr, PK (fantastico!), Ratman (da non credere!!). Ma è uscito fuori che in passato si è interessato di poesia e sta tuttora traducendo, rullo di tamburi, Sua Signoria il Principe del Blues, Mr Stefano Benni. Trovarci allo stesso tavolo è stata una coincidenza di quelle con la C maiuscola, ma non ho voluto monopolizzare la conversazione per non escludere i nostri splendidi convitati. Sentire qualche frase e parola italiana buttata qua e là è stata una bella bocca d'aria fresca, però. Dubito che accadrà di nuovo, i dottorandi sanno essere molto sfuggevoli, però mi sono goduta la bella serata.

E sono tornata a casa con la voglia di sentire parlare dello Stefano ancora per un po', ed è per questo che mi sono iscritta a una serata online indetta dalla Scuola Holden (astengansi dal fare commenti) durante la quale Stefano leggerà Lolita dalle 10 di sera alle 4 del mattino. Già non vedo l'ora!

A proposito di masterclass online, due giorni fa ho iniziato un corso di filosofia indetto della University of Edinburgh sulla piattaforma Coursera. Per chi non lo conoscesse, è un sito attraverso il quale si possono accedere a migliaia di corsi indetti da università di tutto il mondo. Settimana dopo settimana vengono caricati dei contenuti (video, letture, test...) e alla fine del corso viene rilasciato un attestato. E' da che ero alle medie che voglio fare un corso di filosofia (da quando ho preso in prestito Critica della ragion pura di Kant per sbaglio in biblioteca) e adesso che l'ho iniziato è davvero eccitante e non riesco a smettere di pensarci tutti i giorni. Sarà la frase più banale del mondo, ma la filosofia è dappertutto.

Visto che se non mi riempio di impegni fino a sfiorare l'esaurimento nervoso non sono contenta, ho iniziato a dare lezioni di italiano...
wait for it...

...a una bambina di 10 mesi. Lo so, lo so, sono la prima a dirmelo: ma un lavoro normale?!
Cos'è normale? Direbbe Trisha McMillan.
Citazioni galattiche a parte, sì, una volta alla settimana attraverso tutta Norwich con l'autobus e vado a sedermi sul tappeto dei giochi di Violet e ripeto fino allo sfinimento frasi come:
"Cos'è?"
"Che bello!"
"Dov'è il papà?"
"Cosa fa la mamma?"
"Dov'è? Non c'è più!"
"Il trenino è verde. Ver-de. Ver-de."

E ogni sorta di sciocchezza sulla quale si basa il vocabolario di un bambino che inizia a parlare. In realtà Violet non ha neanche iniziato a parlare in inglese, non so nemmeno se esista già un'area del linguaggio che effettivamente recepisca quello che le dico. Sta di fatto che mi guarda e se la ride tantissimo, si arrampica su di me mentre le canto "Gli indiani al centro della terra" e "Sono un cocomero tondo tondo". E io vengo pagata.

Detto ciò, direi che non ci sono altre sostanziali novità. Oggi in biblioteca c'era un rastone che dava abbracci gratis, ma la timidezza ha vinto sull'enorme stima per questo tizio. Peccato. 

Un saluto a chiunque legge!!

PS: Ho inviato qualche cartolina, ma sembra esserci stato un equivoco coi francobolli (mi han venduto i francobolli del Dr Who, nazionali, e non quelli per l'Europa: il risultato è qui sotto):


E anzi questa è una delle migliori... un paio di professori ne riceveranno una con un francobollo sul codice a barre, e altri sparsi nei rari buchi che ho lasciato...

venerdì 11 ottobre 2013

Un appunto tecnico

Per chi me l'ha chiesto, ho fatto in modo che si possano pubblicare i commenti da utenti non registrati :) Vi chiedo solo di firmarvi (a meno che non vogliate pubblicare una cattiveria, in tal caso gli utenti anonimi sono più che giustificati)!
Besitos

giovedì 10 ottobre 2013

Nel mezzo del cammin di nostra vita... mi ritrovai al binario 9 e 3/4, in attesa di un treno per Hogwarts

Gentili telespettatori,
c'è così tanto da dire sulla giornata di ieri e di oggi! Già mi scuso per quanto sarò prolissa, però, what the hell, questo blog sarà il ricordo più dettagliato che avrò mai della UEA, quindi chissene. :)

Dunque, essendo noi giunti alla terza settimana ci è stato richiesto di andare a colloquio con Jean, il supercapo, per iniziare a parlare dei famosi essay che dobbiamo consegnare entro la prima settimana di dicembre. Questi sono la dimostrazione che stiamo lavorando e che stiamo lavorando bene, sono l'unico metodo che i professori hanno per valutarci e che noi abbiamo per dimostrare chi siamo e che posizione occupiamo nel campo della traduzione, teorica e non.

Questi due essay rientrano l'uno nel campo della "stilistica" (non sono sicura che stylistics si traduca così in italiano... be' l'importante è che la Biondi non legga le mie castronerie glottologiche) e l'altro nella "teoria della traduzione" o "traduttologia" come gli accademici italiani amano chiamarla (bleh).

In breve: stilistica è tutto ciò che è voce, stile, registro, figure retoriche, iconicità, ambiguità... 
Teoria è invece un excursus storico sulle varie teorie sulla traduzione, da Pope a Dryden, da Benjamin a Pound, da Schleiermacher a Schlegel a Goethe. 

Di argomenti per il saggio ce n'erano davvero tantissimi e fino all'ultimo ero indecisa. Finché una fredda mattina di ottobre (l'altro ieri) ho avuto l'illuminazione. 

Dunque dopo aver rimuginato parecchio, ieri mi presento all'ufficio di Jean e le scarico queste due bombe:

Saggio di stilistica: la metafora nell'Inferno di Dante, nelle traduzioni inglesi di Ellis e Carson
Saggio di teoria della traduzione: la teoria addomesticante e la teoria straniante nelle due traduzioni della saga di Harry Potter

Jean era entusiasta, mi ha detto che non potevo scegliere due argomenti più distanti (uno è una traduzione ita>eng, l'altro il contrario, uno è poesia, l'altro prosa, uno è un classico, l'altro un contemporaneo destinato a diventare un classico...) e che quindi da questo momento è tutto in discesa. Se lo dice lei!

Secondo me invece adesso inizia il meraviglioso viaggio dell'accademico alienato socialmente che si rintana in biblioteca a sfogliare polverosi tomi danteschi e potteriani, e a leggere critiche su critiche. Eh, già, perché non si tratta solo di offrire un paragone tra le varie traduzioni esistenti, bensì di trovare per entrambi i saggi quella che sarà la mia tesi da difendere. [Breve parentesi: sembra un'idiozia, ma non è facile ricominciare a pensare e a produrre opinioni dopo tre anni di lavaggio del cervello, chiusa parentesi.] Si sa mai che io sia la prima accademica (sì, lo so, è un po' arrogante da chi non ha nemmeno una magistrale in tasca, però qui continuano a chiamarci scholars a tutti i costi) a scoprire un profondo e indissolubile legame tra l'Inferno dantesco e Hogwarts... non avete per caso notato una leggera somiglianza tra Virgilio e Silente?

Ma bando alle elucubrazioni, che qui si rischia di essere presi per dei fomentatori di congetture metaletterarie!

Durante il colloquio Jean, che è stata carinissima, mi ha chiesto se mi trovo bene, se ho qualche difficoltà (in realtà sono stata io a dirle che all'inizio ero un po' bloccata per l'ansia) ed è rimasta basita, non se lo aspettava assolutamente, "difficile credere che tu abbia difficoltà", mi domando che razza di immagine ho dato a 'sta prof! Be', sta di fatto che sono tornata da colloquio più leggera di una decina di chili (metaforicamente parlando!).

Così sono andata alle prove del coro jazz a cui mi ero iscritta, ma dubito che rivedranno la mia faccia... Ora, è vero che io non sono stata abituata bene, ma benissimo, e che le mie esperienze corali sono andate dallo pseudocristiano al dilettante, dall'oratoriale al semiprofessionistico (anche se, in questo caso, non vissuto in prima persona, ma quasi)... Il coro di ieri è gestito da persone che sicuramente saranno bellissime, ma tra una pianista che si ferma ogni due secondi perché sbaglia e deve chiedere scusa e una direttrice senza il senso del tempo... ecco, insomma, ho perso un po' la pazienza. Nel senso che non ho la pazienza di starmene buona buona nella fila dei contralti in attesa che un miracolo faccia risolvere magicamente la bellissima armonia di Get Happy. 

Idem come sopra per il Revelation Choir. La direttrice del Rev in realtà è un po' più sveglia (fin troppo sveglia, visto che sembra sempre sotto l'effetto di metanfetamine), ma non sa leggere la musica e costruisce le armonie un po' a caso. Con i due ragazzi responsabili del Rev ci eravamo già incontrati a inizio settimana perché si erano dimostrati entusiasti del fatto che io qualcosa ho studiato e qualcosa so suonare, quindi a inizio settimana è stato tutto un "sììììì dai vieni così ci insegni le parti e poi suoni e dirigi"... beh, le prove del Rev erano stasera e sono state abbastanza pessime... Intanto, la mia opinione non è stata chiesta neanche per sbaglio quando la direttrice e il codirettore (un tizio inquietante che canta tutto il tempo) si sono fermati tre quarti d'ora a trovare una seconda voce che era fisicamente impossibile da non trovare, visto che era scritta sotto il loro naso sullo spartito... Ma visto che nessuno dei due legge il pentagramma... al che, mi spiace per il gospel perché sono un'amante del genere, ho preferito lasciar perdere anche loro. Non per altro, però provano di giovedì sera, quando si trovano anche i ragazzi della Music Society che invece sono davvero bravi.

Questi schitarrano tutto il tempo e sono in metà di mille, quindi preferisco di gran lunga farmi viva ai loro incontri (che seguono il principio del "porta la chitarra e trovati dei musicisti") e magari formare una band, chissà.

Be', le esperienze corali non sono andate granché, ma sono abbastanza cosciente del fatto di avere degli standard e delle aspettative troppo alti - assolutamente irraggiungibili anche dal mio stesso talento e dalle mie stesse capacità. E' sempre stato così e sempre lo sarà.

Nonostante le delusioni musicali, c'è un'altra nota (wink wink) positiva nella giornata di ieri. Dopo le prove del coro sono andata alla serata settimanale dei giochi in scatola, gestita appunto dalla Board Games Society, (per trovare la stanza mi è bastato fiutare... l'odore...) e mi sono fatta una bella partita a Seven Wonders e a Baker Street (che mi sono portata da casa e che ha riscosso un successone). I ragazzi della Board Games Society sono davvero carini, sono esattamente quello che ci si aspetta da una società che si ritrova esclusivamente per giocare ai giochi in scatola, al diavolo gli stereotipi. Eravamo un mucchio di nerd nella stessa stanza? Sì. Però sono stati tutti carini con me, e al contrario di quanto si possa pensare la percentuale di ragazze era sorprendentemente più alta della norma. (Ne ho individuate almeno una mezza dozzina in una trentina di giocatori... jackpot!)

Oggi poi c'è stato un incontro davvero interessante con la drammaturga Timberlake Wertenbaker, che ha tenuto un seminario sul passaggio "dalla pagina al palcoscenico" al quale noi traduttori eravamo invitati a partecipare assieme agli studenti di recitazione, di drammaturgia e di regia teatrale. E' stato estremamente coinvolgente, Timberlake ha invitato noi traduttori e i drammaturghi a scrivere dei pezzi per poi provarli con i ragazzi di recitazione e regia (tutto questo accadrà durante altri due incontri). Sentir parlare Timberlake mi ha fatto davvero riflettere su quanto tempo ho effettivamente passato circondata da gente che di teatro ne sa a mazzi, ogni parola sulle relazioni tra attori, registi e scrittori, mi ha ricordato di Chema, di Dario e anche di parentesi un po' meno felici come le mie stesse esperienze col palcoscenico e con la scrittura teatrale. (Paolo Grassi, ce l'ho con te.)

Era un po' che non immergevo la testa nel mare del teatro, e devo dire che mi ha fatto bene. Sarà un lavoro interessante, anche se stavolta mi tocca tradurre in inglese perché i pezzi devono essere recitati. Per questo ho scelto una scena da Historia de una escalera di Buero Vallejo, perché davvero non mi sovveniva nulla di artisticamente interessante da tradurre dall'italiano all'inglese (escludendo Baricco, troppo complicato, e senza nulla togliere a Pirandello e Goldoni).

Riassumendo, tra ieri e oggi ho trovato le bizzarre e audaci idee per il saggio (che per ora sono solo idee), sono andata a un fantastico colloquio (con un'insegnante che è davvero felice di riceverti), ho provato il coro jazz e non mi ha convinto, mi sono improvvisata supernerd in una serata di giochi in scatola e Dr Who, ho rivangato nell'antro teatrale della mia testa (con conseguenti magoni esistenziali), ho dato una chance al coro gospel ma nemmeno quello mi ha convinto e sono tornata a casa per scrivere questo lunghissimo articolo (mentre guardo l'ennesima puntata del Dr Who).

Ah, dimenticavo, stasera suonavano i Bastille nella sala concerti del campus. Sono stata un po' a sentirli (da fuori, perché ci voleva il biglietto) e sembravano davvero bravi. C'era gente che faceva la fila dalle quattro di questo pomeriggio, qui sembrano parecchi popolari. Be', se non avete niente da fare e volete dar loro un'opportunità, fonti certe dicono che suoneranno all'Alcatraz.

Ancora una volta, vi abbraccio tutti.

PS: Ora, io non so chi effettivamente legge questo blog, però se qualcuno ha delle idee o pensieri che riguardano i due saggi, benvengano... 

domenica 6 ottobre 2013

Dr... Who?

Tra ieri e oggi molte cose sono cambiate.
Per esempio, non avevo rovesciato una bottiglia di vetro da mezzo litro di preziosissimo olio di oliva siciliano sulla moquette.
E non avevo passato due ore china sulla candeggina per togliere la macchia, con conseguenti allucinazioni candegginoidi.

E non sapevo che Dr Who sarebbe diventato il show britannico preferito, togliendo il primato a Sherlock. Benedict Cumberbatch e Martin Freeman, I'm so so sorry.

Ma si tratta di un time-traveller che viaggia dentro una cabina telefonica. Come potevo resistergli?

sabato 5 ottobre 2013

Primo giorno di lavoro!

Levataccia alle sei del mattino per prendere l'autobus e ritrovarsi in anticipo di un'ora e mezza. Come al solito. Passeggia di qua, passeggia di là, si fanno le 8.30.
Paul, il mio capo, apre il negozio e mi fa un minitraining, giusto per aggiornarmi sulle operazioni di cassa. Poi mi molla a Max (ma quanti uomini lavorano in Lush?! sono piacevolmente sorpresa), che studia anche lui alla UEA ma oggi era visibilmente a pezzi per un'operazione alla gamba. Dopo un paio d'ore, non regge più e lascia il negozio in mano e me e Paul, che grazie a Dio ha un gran gusto musicale (se non si tiene conto della sua passione morbosa per Tom Jones).
Il negozio si riempie, ci sono i soliti clienti eccentrici, tante persone già in fissa con le novità natalizie (per l'amor del cielo, non è neanche passato Halloween!), quindi via di demo-demo-demo, sorriso stampato sulle labbra, squiscia la gelatina, crascia gli spumanti, ploppa le ballistiche, sfriziona gli oli da massaggio e incrocia le dita per non sbagliare nessuna operazione di cassa (che drago!) e si fanno le quattro del pomeriggio.
Nel frattempo si sono aggiunte Lauren, l'altra capa, Tom e Eve, "store angel". Non ho idea di cosa faccia una "store angel", ma Eve è stata davvero paziente con me. Lauren invece era entusiasta del fatto che ero già lì a spadellare con le boule delle demo come se fossi a casa mia senza avermi fatto alcun training.

La prima giornata è andata benissimo. Mi sono beccata il giorno più caliente della settimana (momenti in cui la fila di persone in attesa in cassa arrivava quasi all'ingresso) e un turno da sette ore per iniziare, ma meglio adesso che quando sarò sotto stress per la consegna dei saggi di fine semestre.

L'unica nota apparentemente negativa della giornata è stata la notizia bomba che Paul mi ha scaricato alle nove meno qualcosa: se voglio continuare a lavorare devo aprire un conto in banca qui. Tutto sommato, ha abbastanza senso, pregusto già la mirabile visione delle salatissime commissioni e delle infinite telefonate al "servizio" "assistenza" della "Banca" Intesa (no, le virgolette non sono lì per errore) che magicamente spariscono. D'altra parte, vuol dire altra sbatta e una lunga trafila di documenti da consegnare, perché oltre al conto corrente mi è richiesto anche un NIN, National Insurance Number - una specie di codice fiscale che serve per la previdenza sociale.

Nulla in contrario, anzi, è solo che l'ingenua qui presente pensava ancora che l'Unione Europea fosse la panacea per tutti i mali burocratici che esistono al mondo e che cose come il NIN non servissero a noi eletti. Non potevo essere più in torto di così.

Finito il lavoro, mi sono vista con Valentina, Anna e Olivia (pazzesco, sembra che le mie colleghe di corso siano tutte italiane) e ci siamo mangiate una bella fetta di torta al Frank's Bar. Poi Anna e Livvy mi hanno portato a vedere la cattedrale di Norwich (finalmente) e ci siamo fatte una passeggiata fino a perderci completamente. Quando ho cominciato a sentire un inquietante formicolio ai piedi, ho deciso di tornare qui al campus dove mi sono scaldata un pessimo risotto in busta preparato ieri (sorvolerò sulle condizioni della cucina in comune, perché mi sto rimettendo adesso da tre giorni di nausea e influenza).

Tradendo i miei buoni propositi per il nuovo anno accademico, ho voluto dare un'opportunità a due serie che ritrovo un po' dappertutto: Downtown Abbey e Dr Who (l'ultima goccia: sono andata in posta a comprare dei francobolli e raffiguravano il Dottore e la famosa cabina blu!).

Lo so, dite quello che volete, ma dopo aver passato la serata di ieri a copiare (a mano!) le traduzioni inglesi del XXVI Canto dell'Inferno, di A Zacinto e dell'Infinito (cosa peraltro assolutamente non accademica, è che sto preparando un "Best of" della letteratura italiana da regalare a un mio amico per il suo compleanno), stasera voglio sentirmi ignorante.

(Aggiornamento delle 22.31: Downtown Abbey non fa per me.)

Cheers!