giovedì 24 ottobre 2013

Strane storie

L'orario di pubblicazione di questi post si sta facendo sempre più tardo... Il che vuol dire che sto tornando ai miei vecchi ritmi italiani, mentre tutto il resto del mondo qua va a letto alle nove e mezza. Be', da gente che cena alle cinque e che va ai concerti alle sette, non ci si può aspettare altrimenti, no?

Poco male, userò il tempo che rubo al sonno (tanto glielo rendo domattina) per aggiornarvi.

Oggi mi è toccata la presentazione in classe sulla teoria polisistem(at)ica. Quella roba brutta che domenica sera non avevo assolutamente voglia di leggere. Ovviamente me la sono dovuta studiare lo stesso e oggi l'ho presentata ai miei fellows, e posso dire di essermela cavata egregiamente. All'inizio un po' in ansia, anche perché dopo le presentazioni i compagni sono tenuti a evidenziare punti a favore e a sfavore dell'esposizione... e non è che muoia dalla voglia di essere esposta al pubblico ludibrio così a gratis. E invece i miei compagni sono stati entusiasti, soprattutto perché mi sono permessa di dire la mia su tale teoria, smontarla elegantemente e ottenere il consenso generale.

Una volta ogni tanto, anche a me piace ottenere consensi. Ma raramente, però.

Poi abbiamo discusso dei saggi con Lina, l'assistente di Jean. Di come si scrive un saggio, come si fanno le citazioni, che tipo di argomenti abbiamo intenzione di portare. E, inaspettatamente, mi sono ritrovata a essere l'unica con le idee abbastanza chiare su almeno uno dei due saggi (Dante, perché la nuova traduzione di HP mi ha deluso parecchio). Anzi, vi dirò di più, la mia compagna più brillante, un mostro di cultura, una che se non dice la sua su ogni argomento non dorme la notte, è andata in crisi quando le è stato chiesto che cos'avesse intenzione di portare. Le è salito un magone della miseria e ha lasciato la classe in lacrime.

Sono certa che per la mia amica la causa della crisi non fosse esclusivamente l'idea di non avere (per adesso) nessun argomento convincente per il saggio, e che i fattori che possono contribuire a fare di un normalissimo giovedì una giornata "no" sono infiniti. Dalla sindrome premestruale a un sms infelice, dall'arrivo della busta paga con relative deduzioni fiscali a un impiegato stronzo della posta. Però mi sono fermata a riflettere su quanto ci sbagliamo nel valutare le persone. Noi compagni di corso siamo sempre stati un po' intimiditi da questa ragazza così dedita allo studio e nessuno avrebbe mai detto che una sciocchezza del genere l'avrebbe fatta crollare.

Questo ci insegna, bambini, che la sfrenata competitività e la pressione a cui a volte sottoponiamo noi stessi sono deleteri e che quindi dovremmo tutti tirare un po' il freno. [Ecco, era partita come una denuncia nei confronti delle prime impressioni e della superficialità, ed è finita per diventare un inno al fancazzismo.]

Non a caso per domani abbiamo organizzato un bel pomeriggio (per i miei fellows anglofoni sarebbe meglio dire "sera") a base di biscotti, torte, tè e, a quanto pare, alcool. E il primo che si azzarda a parlare di traduzione e saggi, penitenza. (Cole non sa di questo accordo stipulato tra me e le due (H)anna(h)s, sarà divertente fargli fare qualcosa di imbarazzante.)

Dopo la lezione di teoria e l'incontro con Lina, siamo andati a un seminario con Timberlake Wertenbaker, la drammaturga. Non eravamo sicuri che fosse obbligatorio per noi traduttori e infatti dopo mezzora di prove aperte (attori, registi e drammaturghi che lavorano su testi originali sotto la supervisione di Timberlake) ci siamo resi conto di essere tutti nel posto sbagliato. Solo all'ultimissimo minuto - dopo due ore e mezza seduti in un angolo con l'espressione sul viso che diceva chiaramente "qualcuno ci consideri" - ci è stato detto che al prossimo incontro potremo consegnare ciò che abbiamo tradotto. Ah, be', grazie della considerazione!

Alla fine per il seminario di Timberlake ho scelto di tradurre dallo spagnolo all'inglese una scena da Historia de una escalera di Antonio Buero Vallejo. L'ho sottoposto al giudizio dei miei compagni, che mi hanno corretto un po' di sbavature e me l'hanno anche recitato! E' stato spassoso vedere Livvy e Cole impegnati in un dialogo amoroso carico del simbolismo straziante e critico verso la società spagnola. Alla fine di tragico non aveva praticamente nulla, quei due erano talmente imbarazzati che noialtri non potevamo fare a meno di spanciarci dalle risate.

Però questa cosa che tra una lezione e l'altra ogni tanto facciamo leggere agli altri le nostre traduzioni è molto molto costruttiva. In particolare per me, che in realtà non potrei far leggere a nessuno le mie traduzioni dall'inglese all'italiano e che quindi porto sempre roba scritta in inglese. Stamattina, per esempio, mi sono trovata con Anna a vedere le traduzioni della Merini. E non è stato disastroso come pensavo, anzi, Anna è stata molto carina e ha saputo apprezzare e interpretare la maggior parte delle scelte che ho fatto. Poi abbiamo letto le sue traduzioni di Yves di Manno, un poeta contemporaneo francese, e la traduzione di Hannah di una scena tratta da Il Gabbiano di Checov. Cole ancora non ha scelto un testo teatrale, così gli ho passato Tingeltangel di Karl Valentin (Carbone Dario, wink wink). Spero vivamente che faccia la Liebesbrief, tradotta in italiano da non si sa chi (l'ho ritoccata un po', così la SIAE non rompe):

Monaco, 33 Gennaio 1925 e ½

Mio caro amato,
con mani piene di lacrime prendo la penna nelle mie mani e ti scrivo. 
Perché non mi hai più scritto, se l’altro giorno mi scrivesti che mi avresti scritto tu se non ti avessi scritto io? Ieri mi ha scritto anche mio padre. Scrive di averti scritto. Ma tu non mi hai scritto una parola del fatto che lui ti ha scritto.
Se tu mi avessi scritto almeno una parola sul fatto che mio padre ti ha scritto, io avrei scritto a mio padre che tu gli avresti voluto scrivere, ma che purtroppo non avevi tempo di scrivergli, altrimenti gli avresti scritto.
E’ una cosa ben triste questo nostro scriverci, perché tu non hai scritto in risposta a uno solo degli scritti che ti ho scritto io. Sarebbe diverso se tu non sapessi scrivere, perché allora io non ti scriverei affatto, tu invece sai scrivere però non scrivi lo stesso quando io ti scrivo.
Chiudo il mio scritto con la speranza che ora finalmente mi scriverai, altrimenti questo sarà l’ultimo scritto che ti scrivo. Se tu però anche questa volta non mi dovessi scrivere, scrivimi almeno che non mi vuoi scrivere affatto, così se non altro saprò perché non mi hai scritto.
Perdona la mia pessima scrittura, mi viene sempre il crampo dello scrivano quando scrivo, a te naturalmente il crampo dello scrivano non può proprio venire, perché non scrivi mai.

Saluti e baci,
tua N. N. 

Con questo brillante scritto vi lascio, sperando che sia d'ispirazione a chi vorrebbe tanto scrivermi due righe ma proprio non riesce a trovare il tempo per farlo...





1 commento:

  1. Ma quante ne sai? Sei la persona più acculturata che conosca credo.. E tu penserai "Azz che Mdrea, si vede che conosci solo gente ignorante" No Elena mia cara, non ti sottovalutare così. Allora tu penserai "tutto questo parlare mi ha fatto venire voglia di fare merenda" e io ti risponderei "pure a me ciao".

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