mercoledì 15 aprile 2015

Le cronache siciliane

Ho deciso di venirmene qui in Sicilia, tra la casa della nonna Angelina e la vecchia casa di mio papà, disabitata 11 mesi l’anno, perché avevo qualcosa da scrivere. Una cosa che tengo da parte dal 2007 e che è ora che venga fuori.

Qui c’è la campagna, i versanti delle colline sono verdi e oro, il cielo è azzurro, e il vento non è insopportabile. Un paradiso bucolico, ma Thoreau insegna che non è tutto oro quello che sembra campagna.


Per una fortunata coincidenza di lavoro, mi sono portata con me Walden, ovvero: vita nei boschi, di Henry Thoreau, un tizio vissuto cent’anni fa che a un certo punto ha detto “grazie, arrivederci, me ne vado a vivere in una capanna sul lago di Walden, in comunione con la Natura e lontano dagli scassaballe”.

Thoreau era continuamente tormentato dalle persone che gli chiedevano “ma come fai a prendere e mollare tutto”, “ma cosa vai a fare”, “ma non ti senti solo”, ma, ma, ma, tanto che alla fine Walden l’ha scritto anche per quelle persone lì.

Io non me ne sto due anni lontano dalla civiltà, ma quaranta giorni in un paesino di campagna – e credetemi se non trovo molte differenze. Qui non c’è l’ansia dell’orologio, della quale io stessa sono una vittima irrecuperabile, e non c’è l’ansia del vedersi, del fare cose, del produrre, del fatturare. Del “cosa farai l’anno prossimo”. D’altra parte, non c’è nemmeno Internet, la maggior parte del tempo, non c’è il riscaldamento e dormo in una camera fredda come una chiesa sotto dieci coperte.

Ma gli scassaballe ce li ho anche io, come Thoreau. Chi pensa che io stia qui in vacanza, con le pinne, il costume, gli occhiali e la crema solare. Chi mi chiede se non mi sento in colpa a essere pagata per quello che traduco. Chi mi chiede che cosa ci sono venuta a fare qua. 

Che cosa ci sono venuta a fare qua? A scrivere cose. A leggere cose. A tradurre cose. Che ci si creda o no, a fare il mio mestiere.

Ho racconti e una raccolta di poesie da editare, e una bozza di romanzo da stendere. Forse due libri da tradurre. Sì insomma, il solito tichitichitì sulla tastiera.

Sono arrivata lunedì, ieri ho avuto modo di ambientarmi, aprire la casa, spazzare le cacche dei piccioni dal balcone, e sistemare la mia postazione, dalla quale osservo i panni stesi degli altri e la facciata del convento in cima alla collina che fin da piccola voleva dire “casa”. 


Così sto qua, faccio su e giù dalla collina, casa della nonna-convento-casa della nonna. Me ne vengo qua al convento la mattina tardi per scrivere, per tradurre e per studiare scrittura con i manuali della UEA, che non mi ha accettato al Master ma le voglio bene lo stesso. 

Il resto del tempo faccio passeggiate sui fianchi della collina, fotografo questa Sicilia verde, che mi fa un po’ strano perché l’ho sempre vista bruciata ad agosto.


Non sono da sola. Ho con me dei metaforici e pensati compagni di viaggio: Henry Thoreau, con il suo Walden, e Virginia Woolf in Una stanza tutta per sé. 

E poi c’è con me tutto il paese, forse duemila anime, che in un modo o nell’altro mi vengono tutte parenti. Quando cammino per la strada, la gente mi ferma e mi chiede impunemente “tu chi sei”. Allora glielo spiego, che sono la figlia di Tanina, figlia di Angelina Rizzolo, quella che sta ni lu curtigliu, e figlia di Pino, ‘u prufessuri. E puntualmente si scopre che siamo parenti. O un modo in cui ci si conosce lo si trova comunque. 


Spero che come a Norwich e nello stravolgente viaggio in Sudamerica, riuscirò a essere costante anche con questo blog, per quest’avventura che non si sa bene cos’è, se una ricerca o una scoperta, se tutt’e due o tutt’altro.

Vi lascio con una citazione di Stephen King che mi è sempre piaciuta:

I dilettanti si siedono e aspettano l’ispirazione, il resto di noi si alza e va al lavoro. 

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