lunedì 3 febbraio 2020

I mille cuori infranti di Dunedin

Se qualcuno si stesse domandando perché una città nel cuore dell'Isola del Sud porti il nome originale di Edimburgo, la risposta è fuori dalla finestra. PIOVE.


PIOVE che la manda, ma di brutto eh.



Ma in fondo non è una brutta giornata per esplorare Dunedin. Arrivo ieri, verso metà pomeriggio, quando manca solo un'ora alla chiusura di tutto l'esplorabile. Nel dubbio, mi avvio nel museo più vicino all'hotel, dall'altro lato della strada, per essere precisi.

Due parole sull'hotel perché penso che le meriti, dato che ero partita con le peggiori aspettative. Recensioni non grandiose, e l'hotel stesso si presenta come un due stelle. Non sapevo nemmeno che esistessero gli hotel a una e due stelle, pensavo fossero come i voti dopo l'otto nei testi lessicali di tedesco della Strocchi. Numeri immaginari. 

Così, da un due stelle, mi aspetto il peggio del peggio. Invece, tutto a posto. Basico perché basico, ma con una sua dignità, e anche con certi mobili d'epoca, vetrate, e una posizione così centrale che i bed&breakfast figosi gestiti da donne quarantenni cinesi se la sognano.

Dall'altro lato della strada rispetto al Leviathan Hotel, c'è l'Otago Settlers Musem. Chiariamo subito che Otago è il nome della regione (enorme) che comprende Dunedin, Queenstown e Wanaka. Tutto è intitolato a Otago, il museo dei coloni, il museo generale, l'università. 

Il museo dei coloni è un po' incasinato, e devo dire la verità, dopo aver visto migliaia di musei da quando sono qui, non è che mi sia rimasto molto impresso. Anzi, ricordo poco e niente di quello che ho visto, forse perché era tutto molto British, tutto molto tardoimperiale, banconote, carrozze, bureau... Il museo un po' vuole espandere sulla storia della città di Dunedin nello stesso modo in cui lo farebbe un museo inglese: tanto fumo e niente arrosto.





Ammetto di essermi andata a riguardare le foto per ricordarmi se ci fosse qualche highlight culturale. Va bene, concedo che la Smith Gallery, che raccoglie i ritratti dei primi coloni, mi ha un po' colpito (e fatto rabbrividire, tutte quelle facce dei morti). 





Anche il padiglione inaspettatamente grande della Otago Motors mi ha fatto arricciare il labbro, annuendo e mormorando not bad.



Il giro di ricognizione in centro è breve perché come al solito io dopo le sei ho già fame, quindi compenso la giornata di pioggia con un piatto di ravioli di zucca alla crema di parmigiano da Etrusco (sì, a me piace mangiare anche italiano quando sono in giro, perché, indovinate? Si trovano gemme che non potete immaginare...).

Quando torno all'hotel, mi metto nella sala adibitia a colazione per lavorare un po' al mio album dei ricordi. Senza accorgermene (ho le cuffie e sto mezz-ascoltando Middlemarch), ho attirato un manipolo di curiose fan. E che cosa fai, e da dove vieni, e ma posso vedere il tuo album, a fine serata si finisce a bere vino e discutere di relazioni amorose fallite (cinque ragazze, tutte e cinque con una storia diversa e allo stesso modo tragica).

Diventiamo un po' accolite, anche se queste tipe sono in giro da mesi e hanno davanti altri mesi di viaggio -- un po' le invidio, un po' mi rendo conto che io non sono tagliata per il loro stile: non sapere da un giorno all'altro dove dormiranno, presentarsi a casa di sconosciuti tramite couchsurfing che si rivelano tossici o alcolisti, e soprattutto perdere un sacco di tempo (UN SACCO DI TEMPO) per decidere che cosa fare delle proprie giornate, che iniziano a mezzogiorno.

Abbiamo cercato di organizzarci per vedere Dunedin insieme, ma mentre io alle sette ero a fare colazione, loro se la sono presa un po' con calma e siamo riuscite e ribeccarci solo nel pomeriggio. Anche io in un certo senso me la sono presa comoda, e ho iniziato la giornata con una passeggiata in biblioteca e un giretto al giardino cinese.





Passo dalla stazione, che ha la fama di essere l'edificio più fotografato della Nuova Zelanda… ne dubito. Ma vale la pena lo stesso di dare un'occhiata alle vetrate e agli esterni, soprattutto ora che non piove.








Dopodiché, sempre in attesa che le ragazze si dessero un po' una mossa, mi sono portata verso l'Otago Museum, ma (solo per cortesia delle viaggiatrici seriali) ho (di)vagato per un'ora nella libreria universitaria, un covo di Aladino con grandi gemme letterarie che non ho potuto fare altro che fotografare, nella speranza che mi rimangano abbastanza soldi e che le ritrovi in libreria a Christchurch prima della partenza. 





Finalmente alle due e mezza ci siamo tutte (a me sembra di aver aspettato un'eternità, ecco il brutto di essere abituati a viaggiare da soli...) e varchiamo la soglia del Museo delle Relazioni Spezzate -- un progetto che è forse la mostra "concettuale" più bella e interessante che abbia mai visto. 

Ne avevo già sentito parlare, forse di una mostra simile o forse del museo intero permanente, che ha sede a Zagabria. La premessa è quella di raccogliere oggetti significativi solo per due persone. E il significato racchiuso da quegli oggetti viene spiegato al resto del mondo, così come (spesso) la ragione per cui quelle due persone non stanno più insieme.

Ho visto di tutto: spazzolini da denti, portachiavi, collane, un kimono, un paio di scarpe, una federa, un barattolo pieno di calcoli renali, un test di gravidanza positivo...

Accanto a ogni oggetto, un paragrafo giusto per spiegare chi, come, cosa e perché.






Qualcuno serafico, qualcuno dolceamaro, la maggior parte da stringerti le viscere e soffrire per questi sconosciuti da tutto il mondo che un certo punto si sono visti e sentiti spezzare il cuore.



Una gran mostra, e una raccolta di storie una più coinvolgente dell'altra, un'altra conferma che il motivo per cui si scrivono ancora storie è perché noi umani non sappiamo resistere alle storie di altre persone, di altri essere umani imperfetti e danneggiati come noi.



Mi sarei accontentata di finire la giornata così, con la mostra e i pork bun del cinese che mi mangio per cena, e invece di sera c'è una sorpresa. Due delle ragazze che ho conosciuto, Martina (ita) e Katrina (deu) sono decise ad andare a vedere i glow-worm. Questi sono insettini tipo lucciole, che se ne stanno fermi sulle pareti di caverne e luoghi umidi.

Per andare a vederli, i tour neozelandesi ti fanno sborsare un sacco di soldi, ma Katrin ieri è andata a vederli per i fatti suoi e sa condurci nel posto dove di solito fanno i tour. Io, non vi stupirà, mi cago un po' sotto, perché sono le dieci di sera e questa ci porta in riva a una cascata su un sentiero fangoso che metti il piede male e sei nel fiume (che, ok, non è il Mississippi, come avrebbe detto Will Rossella O'Hara). Però ormai la cortesia di portarci in macchina ce l'ha fatta, e che cosa fai, ti tiri indietro?

Seguiamo questa pazza tedesca lungo la cascata, su una salita ripida ma breve, illuminando la strada con le torce dei nostri cellulari (che cosa mi aspettavo, i lampioni?). Quando decide che siamo nel punto giusto, e io ne dubito, questa ci dice "spegnete le torce".

Oh god oh god oh god. E va be', secondo Carla la guida Maori, morire in vacanza non è un brutto modo di morire.

Spegniamo le torce, e.

Oh.

OH.

Siamo circondate da costellazioni di glow-worm nascosti nella vegetazione. Una volta che i nostri occhi si abituano al buio (che non è totale totale, perché il cielo nuvoloso riverbera ancora un po' di luce) vediamo le espressioni sulle nostre facce e per un po' io e Martina non parliamo, digerendo l'esperienza (Katrina invece non tace un attimo, bless her). 


(immagine cortesia di Google, perché col cavolo che la mia fotocamera riusciva a catturare i glow-worm)


Sto terminando di scrivere questo post da Dunedin, ma oggi è l'ultima mattina che passo qui. Fuori piove ancora, e il mio autobus per Queenstown parte alle due. Penso che mi farò un giro nella galleria d'arte, mangerò da Etrusco, e poi lascerò la piccola Edimburgo per la capitale degli sport pericolosi dove, avrete immaginato, per mancanza di soldi e palle, non farò niente di adrenalinico.

A parte contemplare la possibilità di perdere l'aereo da Christchurch a Londra Heathrow a fine settimana, si intende.







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