giovedì 6 febbraio 2020

Quell'albero di Wanaka (Happy Waitangi Day!)

Felice Waitangi Day, anche se ancora non siamo molto sicuri se questa ricorrenza abbia la stessa valenza storica per entrambe le parti che celebrano il trattato di Waitangi, tra l'impero britannico e quaranta capi tribù Maori. Ieri per cercare di capirne di più mi sono guardata un dibattito televisivo (prima di Ferris Bueller…), per poi rendermi conto che era trasmesso dalla tv cristiana locale, per cui ne so ancora meno di prima.

Comunque qua è festa, gli autobus sono in ritardo, tanti negozi sono chiusi, e io avevo un aereo da Queenstown a Christchurch alle quattro e mezza, per cui mi sono detta… ma se facessi una tappa veloce a Wanaka?


Quindi svegliati alle sei, prendi l'autobus delle sette e un quarto e alle nove sei a Wanaka, della quale non sai praticamente niente se non che è un po' una piccola Queenstown e che c'è un albero.

Un albero, sì.

Quell'albero, lo chiamano, e ha pure il suo hashtag, #ThatWanakaTree. Non si può che avere rispetto per un albero che ha un proprio hashtag, per cui lo dovevo andare a vedere. 


Arrivata a Wanaka, mi rendo conto che la cittadina non è grande, ma che tutte le camminate fighe sono parecchio distanti dal centro e per arrivare ci vuole la macchina. Le uniche che posso fare sono quella per arrivare a quell'albero e una su Mount Iron, che ha un nome figo quindi mi metto in testa di scalarlo.

A quell'albero ci arrivo, e anche abbastanza presto, ma il cielo è nuvolo, le foto non vengono bene, e io comincio a chiedermi cosa ci sono venuta a fare fino a Wanaka per fotografare un albero. Ma cerco di tenere su il morale, lo so che i pensieri negativi sono una brutta combinazione di squilibri ormonali da cambio di dieta e attività fisica, e certi sentimenti che ho cercato di sotterrare ben bene, ma questi vengon su come zombie ogni due per tre, e l'unica cura contro gli zombie è essere vegani, mi dicono, e io non ho proprio speranze.

Sempre con il morale sotto le suole, mi avvio verso Monte Fato Iron, e succedono tre cose. La prima è che il cielo si schiarisce, esce fuori il sole. La seconda è che cammino per più di mezz'ora e l'ingresso al sentiero per Monte Iron ancora non si vedere. La terza è che cominciano a bruciarmi e lacrimarmi gli occhi da matti.

Ma roba che a un certo punto sono in ginocchio sulla strada, strofinandomeli come una pazza, cercando di capire se ci fosse entrata della crema solare per sbaglio o che. Piango, piango di brutto, e non ho che una soluzione: tornare indietro.

Questo perché a farmeli bruciare così è il sole, e ce l'ho proprio di fronte e sono senza occhiali da sole (cioè, ce li ho, ma non vedo una mazza perché non sono graduati, quindi non li metto). Avevo già umoreggiato sul sole neozelandese che vuole ucciderci tutti. Oggi ne ho avuto la conferma.



Oltre a non esserci un filo d'ombra, si alza anche un vento pazzesco (vedi le onde del lago), che mi fa lacrimare ancora di più gli occhi. Finisco a bordo lago, sotto l'ombra di un pino, a lasciare che gli occhi si sfoghino e facciano quello che devono fare. Miracolosamente, a un certo punto smettono. Non di fare male, ma almeno di lacrimare. Chiamo Martina e mi dice che mi sono danneggiata la retina e/o ustionata le palpebre.

Dal riflesso pietoso che mi restituisce lo specchio dei bagni pubblici di Wanaka, direi entrambi. Sono a metà tra Inu Yasha quando si avvicina alla natura spettro, e il gatto con gli stivali di Shrek.

Ridendo e scherzando (!) ho appena un'ora di tempo prima di riprendere l'autobus che mi porterà diretta all'aereoporto di Queenstown, per cui decido di tornare a vedere quell'albero. Cammino sul lungolago, che è costeggiato da una linea del tempo che va dalla nascita di Cristo al 2000, ma siccome non riesco a leggere faccio foto a random, circondata da passanti che si domandano se qualche evento particolare mi stia commuovendo particolarmente.






Per pura coincidenza, leggevo di quell'albero in un manuale di scrittura creativa proprio qualche giorno fa. L'autore faceva un paragone tra quell'albero e il personaggio protagonista di una storia. Il protagonista dovrebbe aspirare a essere come quell'albero, unico, imperfetto, ma capace di attirare l'attenzione di un sacco di gente.



Oggi a Wanaka, mi sono sentita come quell'albero, protagonista della mia vita. Certo, come Harold Crick vivo le mie avventure metaletterarie chiedendomi di continuo se la mia storia sia una tragedia o di una commedia, e oggi siamo arrivati a grandi picchi di tragicommedia, ma poteva andare peggio.

Intanto, non ho perso l'aereo, sono tornata in tempo a Christchurch dove, grazie al cielo, pioviggina, e mi sono imbattuta nel Noodle Festival, con musica dal vivo e spiedini di pollo  lunghi come il mio braccio (che, #elenaforscale, non è lunghissimo ma still).


Ah, e non dimentichiamo che a Wanaka mi sono imbattuta in una gemma fuori dal tempo, dallo spazio e da ogni concetto di coerenza geografica, e non posso fare a meno che citare i Dream Theater (ugh) che citano Afredo, e concludere con un: "Ora che ho perso la vista, ci vedo di più."





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