giovedì 16 ottobre 2014

L'isola più isola(ta) del mondo - /1

Come dicevo a un amico un paio di giorni fa, tra qualche mese mi sveglierò e, molto semplicemente, esclamerò: “porca vacca!”, mi rigirerò nel letto e tornerò a dormire. Poi mi risveglierò e sarà tutto reale, la seduta spiritica con Alejandra Pizarnik, il collettivo Casagrande, i miei parenti di Rosario, Antonio e i palloncini alla Chascona, l’ultima notte a Santiago, e il sogno di Valparaíso, e adesso… questo. L’isola più isola che esista al mondo e io ci sono sopra.

Lunedì 13/10/2014, ho preso un volo alle 8 del mattino da Santiago, e sei ore dopo atterravo ad Hanga Roa, l’unica città sull’Isola. All’aeroporto mi viene a prendere Matías, il proprietario del bungalow che ho affittato. Su Matías ci sarebbe da scrivere un libro, perché non ho mai incontrato un tipo più strano in vita mia. E per usare io l’aggettivo “strano”, io che dico sempre che tale aggettivo vuol dire tutto ma non vuol dire niente, vuol dire che Matías è davvero strano. È un signore che avrà una cinquantina d’anni, abbronzato, panciuto, con un’aria leggermente da mafioso. Mi viene a prendere all’aeroporto ma non guida, guida un suo amico, tra poco scopriremo perché.

Io non ero riuscita a prenotare nulla in anticipo, nessun tour, e andavo molto alla ventura. Non sono mai stata più contenta di non aver prenotato niente. Praticamente Matías si annoia da morire, tutto il tempo. E allora a lui piace fare da guida ai luoghi dell’isola alle persone che gli affittano i suoi bungalow. Mi dice che c’è un’altra famigliola – due sorelle con rispettivi pargoli – e che possiamo attendere che tornino a casa per poi andare tutti insieme in escursione. Fenomenale, asserisco. Poi lui mi dice che però devo guidare io.
Devo cosa?

Scoppio ridere e mi rendo conto che è serissimo. Mi indica la jeep e dice che la famigliola cilena viaggia per conto proprio su una jeep che hanno noleggiato, per cui se vogliamo unirci dobbiamo andare con la sua macchina ma lui non può guidare. Perché al signor Matías hanno sospeso la patente. Due volte.

In alternativa, mi dice, puoi sempre riposare a casa e usciamo domani. Riposare?? Sto nell’Isola di Pasqua solo quattro giorni, di certo non me ne starò a riposare!
Così gli dico, dammi le chiavi.

Sicché verso le tre andiamo in escursione in una caverna con dei pittogrammi, e lui ci spiega un po’ le storie dei Rapa Nui, la civiltà indigena della quale il signor Roberto Piumini e il suo Motu-Iti l’isola dei gabbiani mi fecero innamorare. Matías è ferratissimo sui Rapa Nui, perché è un Rapa Nui lui stesso. Al contrario di quanto immaginavo, la civiltà indigena dell’isola esiste ancora (io pensavo fossero tutti morti, urrà!).



Dopo la caverna, saliamo verso Orongo, che io non posso visitare perché non ho comprato il biglietto di ingresso al parco nazionale (ovvero tutta l’isola) quando sono atterrata all’aeroporto. Perché? Perché non avevo idea che bisognasse comprare un unico megaingresso per tutti i siti archeologici dell’isola. Così io rimango fuori da Orongo ma mi godo la vista mozzafiato.



Propongo a Matías di portarci in un luogo dove si potesse godere della luce del tramonto con qualche moai, che non vedevo l’ora di conoscere.

E così...





In tutto ciò, io me la guido e me la spasso su una jeep d’epoca, conciatissima sui fianchi, senza lo specchio retrovisore né il laterale di destra. Guidando la mia gippina, Matías mi racconta un po’ della sua incredibile vita di isolano. I Rapa Nui potranno lamentarsi quanto vogliono di vivere nel posto più isolato al mondo, ma ‘sti brutti ceffi godono di diritti pazzeschi. Secondo le stime di Matías, saranno 5000 in tutta l’isola. E ognuno di loro ha diritto a quanto terreno gli pare, dove gli pare, senza sborsare un soldo. Tanto più che poi le risorse sull’isola sono tantissime: ci sono pietre e legno (eucalipto, bellissimo) dappertutto e tirare su una casa (come i bungalow di Matías, che ha costruito lui) è un gioco da ragazzi. Per sopravvivere, tutti fanno un po’ di tutto. Pescano, coltivano, organizzano i tour guidati, gestiscono gli hotel. Tuttavia, trovo che non abbiano molto spirito d’iniziativa. Le vacche abbondano ma nessuno fa il latte.

Rimango piacevolmente sorpresa da due cose in particolare: che l’Isola non è affatto piccola come pensavo e che ci sono molti meno turisti del previsto. Ho fatto una cazzata prenotando solo per quattro giorni per stare nei tempi, ma se non altro ho scelto il periodo dell’anno perfetto.

Dopo il tramonto, Matías insiste per grigliare qualcosa fuori dai bungalow, così compra del pollo e tira su un fuoco. Ci sono volute circa tre ore perché il fuoco fosse pronto e la carne si cuocesse, ma ne è valsa la pena. Non per la carne, che è rimasta cruda e non era buona, ma perché Hanga Roa, l’unica città dell’isola, non solo è minuscola (non è più grande di Baruccana) ma è completamente al buio. Quindi ho finalmente visto il cielo dell’emisfero sud, un cielo che non dimenticherò facilmente.

Martedì 15 è iniziato con il piede sbagliato. Matías si sforza per far sì che gli ospiti si sentano a proprio agio, anche se in realtà ha un caratteraccio e, cosa ancora peggiore, non ha voglia di lavorare. Sembra un controsenso, però se da una parte dice “facciamo vediamo”, dall’altra si sveglia alle dieci del mattino, e se gli chiedi “che cosa facciamo oggi”, ti risponde vagamente, si gratta la testa, e ti risponde “vediamo dopo pranzo”. Siccome non mi sono svegliata alle otto per “vedere dopo pranzo”, comincio a darmi una mossa per vedere se riesco a infilarmi in un tour guidato dei siti archeologici dell’isola. Mi faccio accompagnare da Karen a comprare un ingresso al parco nazionale, ma scopro che tutti i tour sono già partiti. Così ne prenoto uno per il giorno dopo, ma rimane il dubbio su cosa fare. Decido che andrò ad Anakena, la spiaggia al nord, dove ci sono i moai ma anche il mare per fare il bagno.

Tornando a casa incontro Matías, che si è svegliato, e lo convinco a portarmi a Orongo, dove il giorno prima non ero potuta entrare. E per “portarmi” intendo io guido la jeep e tu mi sveli i segreti dell’isola. Orongo è molto bello. Si trova esattamente di fronte alle isolette Motu Nui e Motu Iti, le isole del romanzo di Piumini. Sono isole importantissime perché lì si celebrava la cerimonia dell’uomo-uccello, una gara tra i figli delle famiglie più importanti dell’isola, che si sfidavano a lanciarsi dalla scogliera, andare fino alle isolette a nuovo e tornare indietro a toccare un certo moai con un uovo di gabbiano, le prime uova della primavera. 


Orongo è un sito archeologico interessantissimo, ci sono antiche costruzioni di pietra e petroglifici, nonché il cratere di un vulcano spento da millenni che ospita un microecosistema spettacolare, una palude di acqua e erbe medicinali.





Dopo Orongo, torniamo ai bungalow e ci uniamo alla famiglia che vuole andare a vedere la pietra magnetica e andare a fare un giro ad Anakena, dove avevo intenzione di andare io a fare il bagno. La pietra magnetica è un sasso gigante che si dice faccia impazzire tutte le bussole. Io non so se è vero, quello che so è che Matías dice che questa pietra non abbia niente a che fare coi Rapa Nui, bensì è una pietra trovata a riva dagli inglesi che hanno pensato bene di spostarla in un sito moai.



Dopo la pietra magnetica di cui sopra, finalmente andiamo in spiaggia, ma Matías non ne vuole sapere di scendere con noi. Così mi dà mezzora di tempo e passo la mia mezzoretta sciacquando le zampe in acqua e coprendomi di sabbia corallina.



Per terminare in bellezza, dopo aver riportato Matías a casa, vado a vedere il tramonto alla caletta da dove salpano le barchette dei pescatori di Hanga Roa. Dicono che è un luogo pieno di tartarughe marine, purtroppo non ho ancora avuto l’onore di vederne nessuna.


Di surfisti che danzano sulle onde del tramonto, però, quelli a mazzi. 


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