domenica 26 gennaio 2020

La Coastal Walkway, difficoltà: media. Ok. (Coromandel 3/3)

Quando uno parla di specie dominante per riferirsi all'essere umano, già parte male. Si tende a ignorare, per correttezza politica, che gli esseri umani non sono tutti uguali. Prima che pensiate che io abbia preso tendenze radicali alla Dumbledore e Grindelwald (for the greater good) vado diretta al punto di questo post, che vuole trattare di una subspecie degli homo sapiens.

L'escursionista. (Excursionista neozelandensis o alpinensis)


Ora, io, con tutta la conoscenza di biologia di una che ha fatto scienze della natura per due anni con una professoressa abbastanza hippie, mi rifiuto di credere che questi superuomini e superdonne e la sottoscritta condividano lo stesso patrimonio genetico. Più che altro lo dico per loro, eh. 


Mi inchino alla superiorità di questa specie, di cui ho avuto modo di incontrare diversi esemplari (ma non tanti!) durante l'escursione di oggi, sulla Coromandel Coastal Walkway.

Partiamo con ordine e diciamo che 1) la penisola del Coromandel (della quale, come avrete notato, ripeto il nome all'infinito per la pura ragione che mi piace come suona, un po' come Kasarhérou e escaquearse) si dilunga ben oltre il giro che ho fatto ieri, in una zona che è proibita dagli autonoleggi per via delle strade pericolose; e 2) per accedere a questa zona bisogna avvalersi di una guida (oppure possedere una jeep), e le compagnie locali sono due, Discover Coromandel e Coromandel Adventures.

Lasciando la scelta al caso, prenoto con la prima che risponde alla mia email, Coromandel Adventures. Ottime recensioni e mi pare di capire che i gruppi sono piccoli.



Siamo in cinque. Una coppia di americani, una coppia di tedeschi, e io. Più l'autista/guida, un quarantenne mezzo maori con un nome che più mainstream di così non si può (Steve). Steve fa spaccare dal ridere. Ha una vitalità che alle nove del mattino è quasi un'eresia, ma si fa perdonare semplicemente con la sua disposizione solare e la sua conoscenza illimitata del territorio e della lingua.

Dopo neanche mezz'ora sul minibus, ha già tirato fuori miti, leggende, traduzioni di toponimi maori (puro estetismo alle mie orecchie) e chiesto a tutti qual è il nostro gusto di gelato preferito (ho detto caffè, ma in realtà è la liquirizia). Steve fa qualche sosta lungo la strada non solo per buttarci lì a scattare qualche fotografia, ma per raccontare le cose davvero più interessanti: la corsa all'oro, la deforestazione, l'arrivo in massa degli hippie negli anni '60 e la loro grandiosa opera di rimboschimento, le malattie degli immensi kauri (ragion per cui a ogni parco nazionale mi è stato chiesto di spazzolare le suole delle scarpe e spruzzare un disinfettante contro la malattia kauri dieback, che impedisce ai poveri alberi di estrarre acqua e nutrienti dal suolo.

L'itinerario previsto è il seguente: si parte da Coromandel Town alle 9 (a un'ora e un quarto da dove sto io), si guida fino a un capo della Coastal Walkway, Stony Bay, e poi lui ci viene a riprendere a Fletcher Bay, l'altro capo, quattro ore dopo.


La camminata, ci assicura, dura tre ore e mezza nel peggiore dei casi.


Ha!


Questi non hanno ancora avuto l'onore di conoscere il peggiore dei casi.

Le mie incapacità sportive sono leggendarie. Arrivata penultima su un centinaio di studenti delle medie alla corsa campestre per due anni di fila; realizzato il peggior punteggio della classe su maratona, sprint e ostacoli negli esami di educazione fisica alle superiori; finita in fondo alla fila di qualsiasi escursione delle poche alle quali mi hanno sottoposto durante gli anni (vaghi ricordi di gite in montagna con l'oratorio, un percorso di leadership sul Resegone in compagnia di quei fulminati del Rotaract di Milano... don't ask; perfino sugli educati rilievi scozzesi arrivavo a tenermi la milza). Un curriculum di un certo rispetto.

Ora, prima che vengano a rompermi i coglioni con la storia del "eh ma certo se non sei allenata..." etc., vorrei puntualizzare che: 1) che ci crediate o no, in diversi punti della mia vita io sono stata allenata. Ero una ginnasta, for god's sake. 2) Ho osservato diversi conoscenti (coi quali, chissà perché, non ero poi così tanto amica) passare l'intero anno scolastico sdraiati sul divano, divorando Nutella a cucchiaiate, mangiando schifezze dal McDonald una volta alla settimana, e non facendo neanche l'ombra di uno sforzo per mesi, sprintare in cima al Monte Rosa senza neanche produrre una goccia di sudore, oppure vincere la corsa campestre quando l'occasione lo richiedeva.

Come è chiaro a chi legge, non nutro assolutamente alcun tipo di risentimento per questa sottospecie di criminali genetici. (!) Tanto non è di loro che stiamo parlando.


Stiamo parlando invece di semidivinità che solcano il sentiero della Coastal Walkway, gli uomini portando gli zaini e le donne usando le racchette. Pelle abbronzata, peli biondi sulla braccia, tratti fisionomici da fare arrossire chi guarda. Sempre sorridenti. 

Parlano del più e del meno, loro, come se quella camminata di tre ore e mezza, forse meno, richieda loro lo stesso sforzo di cambiare canale o aprire e chiudere un barattolo di Nutella (ogni riferimento, etc.). Ma non è così.

Lasciatemi dire, intanto, che non solo la guida aveva una visione abbastanza ottimistica dei miei tempi di arrivo, ma anche i vari cartelli disseminati sul sentiero.


"Il prossimo belvedere: 1h". Eh, no, Un'ora passa e il belvedere io lo vedo col binocolo.


"Poley Beach, 1 min; Fletcher Bay, 1h." La spiaggia la vedo dopo un quarto d'ora. La baia di arrivo lasciamo perdere.


Ed è proprio Poley Beach che in fondo ha rovinato tutto, perché, honest to god, io fino a un certo punto me la stavo cavando alla grande. Volontariamente senza musica nelle orecchie, solo ed esclusivamente in compagnia dei pensieri della sottoscritta, per la prima ora del sentiero avevo marciato speranzosamente, ricambiando il saluto degli escursionisti, una pratica che quasi mi fa sentire di appartenere a una gang (immagina poi se uno fa il paragone con gli inglesi, che fanno fatica a darsi il buongiorno tra colleghi, amici e parenti, figuriamoci con dei completi sconosciuti). 

Ammetto che per la prima ora ero addirittura arrivata a dirmi "tutto qui?". Un paio di ragazze dal naso bruciato e il pantaloncino che più corto di così diventa una presina passano il tempo a giocare a I Spy with My Little Eye, che è un po' nostro bastimento carico carico di.

Io spio, con l'occhietto mio… una cosa che inizia per "f".

Felci. Felci ovunque. Non c'è da stupirsi se l'hanno pure messa sulla bandiera nazionale, dato che gli neozelandesi vivono circondati dalle felci (non mi lamento affatto, anzi: a me le felci piacciono e fanno una gradevole ombra, ben accolta coi trenta gradi di oggi sotto il buco dell'ozono).




Cammino tra le felci per più di un'ora e non succede niente. A un'ora e tre quarti, solo un quarto d'ora in ritardo sulla tabella di marcia, arrivo al primo belvedere. Salire è una bella sfida, e ne consegue che la mia bottiglietta d'acqua si svuota pericolosamente in fretta e fontane non ce ne sono. Godendo del paesaggio finché posso, ne approfitto per consumare il mio pranzo, che consiste in una spiaccicata barretta ai cereali, miele, semi vari e indistinguibile frutta secca.




Avendo cura di non dislocarmi un ginocchio o una caviglia, scendo al sentiero principale, e, passate le felci, finalmente cominciano i paesaggi da "location cinematografica" come promesso dalla brochure e da Steve, che con accento neozelandese promette che "you're gonna have a wonderful time".






Sulle location non ce n'è niente da dire, difficilmente ho visto posti più belli di questi e vedute così isolate dalla civilizzazione. I promontori, gli scogli, sono così vicini da poterli toccare. Sul wonderful time...

Inizia una discesa, ma non mi faccio ingannare perché so che siamo a due ore e mezza dalla spiaggia di arrivo per cui guardo abbastanza con sospetto il lungo sentiero davanti a me. Ecco il famoso cartello "Poley Beach, 1 min". Vedo la caletta che penso sia Poley Beach, ma non trovo il sentiero di ingresso. Giro un po' a vuoto, mi lascio prendere dallo sconforto (e non ho ancora visto niente). Un excursionista si ferma a chiacchierare (la moglie, invece, a riprendere fiato); è uno che non ha mai fatto questa particolare camminate ma è un gran fan del bush. 

Io pensavo che il bush fosse l'entroterra australiano (da vaghe reminiscenze geografiche), ma deduco che intenda qualsiasi paesaggio o sentiero immerso nella natura. Dice che il bush fa bene al cuore e fa bene all'anima.

All'anima, ripeto io nella testa, ma suona più come un'imprecazione.

Morale, Poley Beach non l'ho più vista, ma sono sicura di essere sul sentiero giusto del ritorno (almeno quello!), perché comincia a rialzarsi. E qui è quando io muoio. 

Impossibile ricordare tutto quello che mi è passato nella testa nell'eternità (mezzora) che ho passato a trascinarmi lungo la salita (ah, e ci terrei a ricordare che fa un caldo che neanche la Valle dei Templi a Ferragosto). Immagino di aver creato diversi scenari, tipo io che chiamo l'111 e mi faccio venire a prendere in elicottero, a causa di un malore. Mi vengono in mente tutte le discussioni che non ho mai avuto il coraggio di avere, tutti i "fai quel cazzo che vuoi" che mi sono tenuta dentro, tutte le delusioni e le rotture più o meno dall'asilo a un mese fa.

Ma sopravvivo, eh (regola numero uno, ricordiamo). Arrivo alla fine della salita e al prossimo cartello, che indica che c'è ancora un'ora alla fine del percorso (sì, come no). Ma non mi posso lamentare, perché è abbastanza in piano, anche se in pieno sole e io non ho più acqua. Un paio di semidivinità next level mi superano facendo jogging. Non li mando a cagare solo perché sono a corto di fiato. L'ultimo pezzo lo faccio quasi di corsa pure io perché un calabrone impazzito si è infatuato della mia bandana.

Ma la vista è questa qui.






Steve ci aspetta alla baia di arrivo, gli americani sono già lì, la coppia di tedeschi ancora non è arrivata. Non mi faccio illusioni: si saranno fermati a prendere il sole o a sguazzare a Poley Beach, come avrei fatto io se avessi trovato il sentiero. Spiritualmente, sono ancora l'ultima della classe.

Steve ci serve tè e biscotti e ci lascia pucciare i piedi a Fletcher's Bay, promettendoci una spiaggia ancora più bella a tre chilometri di distanza, e possiamo scegliere (thank god) di andarci a piedi con una scalinata di centocinquanta scalini e un sentiero assolato con vista sul paradiso (e ok) oppure di farci portare da lui e risparmiarci un'ora di camminata, che possiamo dedicare allo sguazzo o, se preferiamo, alla meditazione.

Che cos'avrò mai scelto di fare?



Prima di arrivare a Cape Colville, Steve fa un'ultima, brevissima sosta nel punto panoramico più a nord del Coromandel, e ringrazio il divino buonsenso che mi ha fatto scegliere Coromandel Adventures al posto che infilarmi in gran pasticcio con la macchina in questa zona selvaggia.




Oh, mi sono divertita.




1 commento:

  1. Che bello leggere un diario di viaggio che descrive la zona di Coromandel Peninsula che mi ricordo bene dalle vacanze con la mia famiglia 50 anni fa! In quei tempi era ancora possibile, con il permesso dal proprietario, fare il campeggio accanto alla spiaggia Adesso non sarebbe possibile, ma la bellezza è sempre la stessa. Complimenti per il blog. Grazie. Stuart

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