lunedì 20 gennaio 2020

Io e i Poeti Morti sul Waipu Coastal Trail

Con audacia mai vista prima, stamattina ho messo la sveglia alle 5 e mezza per alzarmi a vedere l'alba.

Ora che sono arrivata al mare, l'alba s'era già bella che trasfigurata, quindi niente pallini rossi a filo orizzonte, ma una gran luce azzurra che fa venire voglia di mettere su Monteverdi e gorgheggiare insieme all'equivalente indigeno degli usignoli (quell'uccello digitale che fa brblublrubù).


Io ormai sono in piedi, quindi non è che vado a rifarmi venti minuti di strada sterrata per rimettermi a letto e sprecare la giornata, NO! Bi-so-gna-sfrut-ta-reil-tem-po-cheu-no-ha (due sinalefe e una dialefe, beccatevi st'endecasillabo).

Mi incammino, pensando che visto che ieri a Langs Beach ci ero andata in macchina (3 km), oggi ne approfitto per compiere il proposito iniziale di questo benedetto viaggio, quello di fare qualcosa che fa bene al cuore, preso in maniera abbastanza letterale.

Sono a Langs Beach in meno di tre quarti d'ora, ma per ritornare indietro scelgo di seguire un invitante cartello che indica 'Waipu Coastal Trail'. "Sei sicuro?" gli vorrei chiedere, dato che il sentiero davanti a me, più che un coastal trail è un'invocazione a San Giuda Taddeo, patrono delle anime (e delle cause) perse.

(Una scala, ma siamo seri?) 

No ma addentriamoci, tanto non ho mica promesso alla mia capa che mai e poi mai mi sarei infilata in situazioni pericolose di proposito e che avrei fatto la brava. 

Non sono mai stata una fan di escursionismo, alpinismo, trekking e in generale della categoria 796.5 del sistema bibliotecario decimale Dewey per la sezione saggistica. Traumi infantili e l'associazione della 'montagna' con 'l'oratorio' mi hanno sempre tenuto alla larga da camminate, sentieri, rifugi e compagnia bella. Ma un sentiero costiero non ha niente a che fare con la montagna, giusto?

Sarà una passeggiata, mi dico. E invece NO! Aun-pas-so-dal-pre-ci-pi-zioe-chi-lo-sa? 

(Nessuno, la risposta è nessuno. Nessuno sa dove sono, figurati, non lo so nemmeno io.)

Alberi abbattuti dalle intemperie sbarrano il percorso di continuo, ci si passa sotto, sopra, di fianco, e in alcuni casi, pure attraverso. Ci sono pezzi in cui il sentiero scende scende scende in spiaggia, oppure sugli scogli, oppure attraversa proprietà private ai cui proprietari non importa che gli escursionisti calpestino il loro territorio, purché i cani siano tenuti al guinzaglio (il che mi fa pensare: chi è lo psicopatico zoosadico che porterebbe un cane su un sentiero così? Gli neozelandesi mi fanno paura).






Davanti a me, non so quanto mi resta. Io cammino, ma quei 3 km si sono fatti forse 4 o 5, per via delle salite, le discese impervie e le pause per riprendere fiato e maledire in cinese la svalvolata me di stamattina che tra tutte le cose che si è ricordata di mettere nello zaino (libri, quaderni, macchine fotografiche, PENNARELLI, una banana e due carote, costume da bagno e crema solare) non ha messo l'ACQUA.

Sarà la sete, tutto il sole che ho preso ieri, oppure sarà che sono le otto e io prima delle nove ho le allucinazioni, ma io comincio a sentire qualche voce, qualche frammento di verso dantesco (...ove per poco il cor non si spaura.) o foscoliano (quello spirto guerrier ch'entro mi rugge). Ma invece che placarsi, lo spirito guerriero si sveglia da un letargo di trent'anni e mi affronta con uno sfacciato: "Embé? Si può sapere cos'hai intenzione di fare?"

Non lo so, non lo so, spirito, io sto qua a fare la Indiana Jones ma nella testa c'ho Dante, Foscolo e pure Leopardi, cosa pretendi che ti dica? Mi godo la bellezza, e le domande me le faccio più tardi.


Ci arrivo alla fine del sentiero, come sapevate, perché la regola numero uno della sezione Punto di Vista di ogni manuale di narrativa è che il narratore in prima persona sopravvive. E se non sopravvive, siete proprio stronzi o avanguardisti, ancora peggio.

Non sono neanche le dieci ma io sono esausta. Mi fermerei in spiaggia a fare il bagno ma, punto numero uno, l'acqua è fredda e io una frignetta, e due, che sbatta ho di trovare un bagno, cambiarmi, mettere il costume, e cospargere ogni centimetro della mia pelle mozzarellosa di crema solare. 

Niente da fare, preferisco farmi un giro nel villaggio, dove ho sentito dire che c'è il Più Bel Museo di Piccola Taglia della Nuova Zelanda. E come resistere, visto che io sono qua a cercare gli hobbit, miei simili, per cui doniamo questi dieci dollari e facciamoci stupire dal reverendo McLeod, che non è imparentato con le sorelle dei cavalli, ma è scozzese di brutto, e io degli scozzesi apprezzo il gran senso dell'umorismo.


Al museo, imparo che:

  •  Si possono infilare davvero tante cose in un museo di due stanze e mezzo;
  •  Il tizio che sta riparando il condizionatore fa finta che io non ci sia, ma poi mette a ridere quando faccio un salto di un metro, terrorizzata da una registrazione vocale random attivata dai sensori motrici;
  • Waipu è praticamente una colonia di Scorbutici Scozzesi la cui storia potrebbe essere raccolta nella collana Brutte Storie della Salani.





Come recita il foglietto, che non è una brochure, bensì un foglio A4 stampato in casa e piegato in tre, Norman McLeod e la sua compagnia costruirono le proprie navi, si spostarono da un posto all'altro (lasciano la Scozia per la Nova Scotia, il Canada e l'Australia, ma nessuno li vuole perché McLeod ha un caratterino) fino a salpare per la Nuova Zelanda, alla ricerca di una vita migliore.

E, per sentito dire, pare che l'abbiano proprio trovata.

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